Il cinema, da sempre, è specchio dei tempi. E come ogni specchio, riflette non solo ciò che appare, ma ciò che siamo diventati. Non è cambiato solo il modo in cui i film vengono realizzati, ma soprattutto il modo in cui vengono vissuti.
Le parole del dott. Giovanni Calvo – studioso di Cinema e Media presso l’Università degli Studi di Torino e collaboratore della piattaforma Streamthings – delineano un quadro netto: “Le innovazioni tecnologiche che hanno portato alla nascita dei siti di streaming hanno completamente rimescolato le carte in tavola nel mercato dell’industria cinematografica.”
A questo si è aggiunto il grande acceleratore pandemico: un evento globale che ha reso il divano più familiare della poltrona rossa, e lo schermo da 15 pollici più familiare del grande schermo.
L’effetto è stato devastante: piattaforme come Netflix, Prime Video e Disney+ non solo hanno guadagnato terreno, ma sono diventate esse stesse produttrici di contenuti originali, con budget che le sale indipendenti non possono nemmeno sognare.
Film come Soul (2020) e Luca (2021), nati per essere condivisi, sono invece stati rinchiusi in un’esperienza solitaria. Persino opere firmate da grandi registi – The Irishman di Scorsese, The Killer di Fincher – sono state rilasciate senza passare realmente per il battesimo della sala.
Eppure, paradossalmente, è proprio la sala a dare respiro ai film. “Le pellicole passate per le sale cinematografiche hanno il 74% in più di ore viste rispetto a quelle uscite in esclusiva sulle piattaforme,” ci ricorda Calvo, citando uno studio pubblicato nel 2023. Il cinema, come la letteratura o il teatro, si nutre di presenza, non di accesso.
Ma lo spettatore, ormai, si è trasformato. Ha cambiato pelle. Vuole tutto e subito, senza sforzo. Privilegia la via più semplice. Ma a quale prezzo?
Perché la sala – come dice Calvo – “rimane il luogo privilegiato per moltissime ragioni: la qualità video, la qualità audio, il coinvolgimento fisico e mentale dello spettatore, la sensazione di trovarsi in un mondo altro rispetto alla quotidianità.”
Questo luogo privilegiato ha iniziato un lento declino.
Il Metropolitan di Napoli, chiuso per anni, solo di recente ha potuto riaprire i battenti. L’Odeon di Milano, per decenni faro culturale, ha subito la stessa sorte. Molte sale – private della linfa vitale del pubblico – sono state costrette a cedere il passo. Il cinema, insomma, non è morto. Ma ha subito una ferita profonda.
Nel 2024, i numeri al botteghino tornano a salire. 494 milioni di euro: un dato che ci restituisce speranza. Un ritorno reso possibile da opere-evento come Barbie e Oppenheimer, ma anche da produzioni italiane che hanno saputo incantare e interrogare, come C’è ancora domani di Paola Cortellesi o Parthenope di Paolo Sorrentino.
A questo si aggiungono iniziative virtuose, vere oasi nella desertificazione culturale: il ritorno in sala, restaurato, di capolavori come Taxi Driver, o gli incontri diretti con i registi – come accadrà a Torino con Silvio Soldini, che presenterà Le assaggiatrici.
Sono questi momenti a ricordarci che il cinema, per essere tale, ha bisogno di sguardi condivisi, silenzi rispettati, respiro collettivo.
“Il cinema può salvarsi,” conclude il dott. Calvo, “ma solo se saprà valorizzare l’esperienza della sala. Solo se saprà puntare sulla qualità, sull’emozione autentica, sul contatto umano.”
Il resto – lo streaming, la comodità, il binge watching – è soltanto una versione low cost dell’eterno.
Perché la bellezza, quando è vera, non è mai comoda.
È una sala buia. Un respiro trattenuto. Una luce che si accende sul volto di qualcuno.
E un cuore che batte, senza sapere perché.