Nella ricorrenza del Triduo pasquale, ho deciso di proporre quattro meravigliosi dipinti di Michelangelo Merisi per ripercorrere il mistero della figura di Cristo e della sua resurrezione.
Un percorso emblematico che, nel caravaggesco gioco di luci e di ombre riportato sulle sue tele, si può cogliere il fotogramma della nostra contemporaneità: un mondo diviso nell’eterna lotta tra il Bene e il Male, tra chi ha fede e chi si lascia andare al proprio egoismo.
Et voilà, a voi i dipinti.

I. L’Incoronazione di spine, datato intorno al 1603 circa, è oggi conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna, mentre in passato apparteneva alla raccolta del marchese Vincenzo Giustiniani. In questo capolavoro un fascio di luce taglia la tela e pone al centro il viso di Gesù, il suo lungo collo. Pur nella sofferenza, il suo volto incanta, così come le piccole gocce di sangue cosparse sui lineamenti e sul torso. Ogni dettaglio merita di essere osservato a lungo, come ad esempio il lembo della camicia bianca dell’uomo con l’armatura, quelle due piume bianche sul cappello.
II. La Flagellazione di Cristo, eseguito tra il 1607 ed il 1608, è custodito presso il Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli. È considerato il più significativo della maturità del pittore lombardo, la cui piena drammaticità lascia senza fiato. Cristo, con le mani legate dietro la schiena, è aggredito da tre aguzzini che lo bloccano con corde strette alla colonna che si intravede alle sue spalle.

Anche in questo caso è nella scelta della luce la bellezza di questo dipinto. Bagliori dall’alto illuminano la figura del Salvatore che emerge nel dramma assoluto della sua Passione, mentre gli aggressori sono come sprofondati nel buio imperscrutabile del loro terribile atto. La testa del Messia è reclinata, abbandonata, sulla spalla sinistra. Gli occhi socchiusi, le labbra serrate: non c’è alcun scampo, la crocifissione è ormai vicina.
III. La Deposizione, compiuto tra il 1602 ed il 1604, è ubicato presso la Pinacoteca vaticana. L’opera, commissionata da Girolamo Vittrice per la sua cappella in Santa Maria in Vallicella a Roma, raffigura il momento in cui il corpo esanime di Cristo viene adagiato sulla pietra sepolcrale.

Nessuno come il Caravaggio ha saputo rendere con tale immediatezza il dolore dell’umanità, la realtà dei personaggi, il profondo pathos che viene rappresentato senza infingimenti. Attraverso la tela, il pittore non si limita soltanto a rappresentare la scena del corpo del Figlio di Dio sceso dalla croce, ma rende omaggio alla Pietà del Buonarroti, una delle maestrie della scultura rinascimentale.
IV. L’Incredulità di San Tommaso, realizzato tra il 1600 ed il 1601, è tutelato presso la Bildergalerie di Potsdam, Germania. Ulteriori versioni sono conservate in collezioni private e in vari musei.

Il quadro riporta il famoso episodio del Vangelo – «Porgi qua il dito e guarda le mie mani; porgi la mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente» e «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!» (Gv 20, 19 – 25) – che riunisce “la fragilità dell’uomo di fronte al mistero della fede e la sua necessità di comprendere le cose tangibili. Qui l’attenzione si concentra tutta sulla testa del santo e sul costato del Redentore. Il chiaroscuro che si crea sulla fronte aggrottata di san Tommaso ne rende ancora più evidente l’emozione, come la piega della carne del costato che vivifica il corpo del risorto”.
Come riportato da L’Osservatore Romano in un articolo del febbraio 2010,
«in tutti i quadri di soggetto religioso di Caravaggio, la moralità del Vero visibile svelato dalla luce, diventa moderna epifania del Sacro, essenziale catechesi spoglia di ogni retorica».
Santa Pasqua sia, in compagnia di Caravaggio.