La cosiddetta “riforma” del numero chiuso a Medicina si è rivelata una presa in giro per gli italiani e per migliaia di studenti che credevano in un sistema finalmente più accessibile. In teoria, doveva aprire le porte alla formazione dei futuri medici; in pratica, ha solo sostituito i quiz iniziali con esami da superare nei primi sei mesi. Un cambiamento che, lungi dall’agevolare gli aspiranti camici bianchi, rischia di aggravare due problemi fondamentali.
Primo: il governo non ha capito (o ignora) la realtà.
Eliminare il test d’ingresso per introdurre esami selettivi a pochi mesi dall’inizio non è una liberalizzazione, ma uno spostamento dell’ostacolo. E gli ostacoli, per molti, restano insormontabili. Chi non supera queste prove intermedie – magari per un’incertezza momentanea, un ritmo di studio da affinare o semplicemente per la pressione psicologica viene espulso dal corso. È così che si spreca talento: studenti determinati, che con più tempo avrebbero brillato, vengono tagliati fuori dopo un semestre.
Secondo: il paese si condanna alla fuga dei cervelli e alla dipendenza dall’estero.
Se il sistema continua a selezionare in modo così rigido (e miope), tra pochi anni non avremo abbastanza medici. Già oggi gli ospedali italiani soffrono la carenza di personale, e la soluzione non può essere assumere professionisti stranieri in massa – come accade con i medici cubani – mentre i nostri giovani emigrano o abbandonano i sogni. Servono politiche che coltivino i “germogli” italiani, non che li schiaccino prima che possano crescere.
Una presa in giro che deve finire
Perché accettare passivamente una riforma che non risolve nulla? Perché farci illudere da slogan su “più opportunità”, quando la sostanza è un’altra? Gli studenti meritano risposte chiare: o il governo apre davvero l’accesso a Medicina, investendo su posti e strutture, o ammetta che questa riforma è solo un inganno. Il futuro della sanità è in gioco, e non possiamo permetterci di perderlo per colpa di compromessi al ribasso.