Da oltre trent’anni, la Marineria Italiana è vittima di un progressivo smantellamento, frutto di decisioni politiche e sindacali discutibili che hanno favorito gli interessi delle grandi società di armamento a scapito della Gente di Mare. Il quadro desolante che emerge è quello di un settore strategico per l’economia nazionale, abbandonato a una lenta agonia, tra riforme scellerate, eccessiva burocratizzazione e la totale mancanza di un piano per la tutela dei lavoratori marittimi.
Le cause del declino
Tra i fattori chiave di questa crisi si evidenzia la soppressione del Ministero della Marina Mercantile nel 1993 e l’introduzione del Registro Internazionale nel 1997, provvedimenti che hanno favorito la deregulation e l’impiego di manodopera straniera a basso costo. A ciò si aggiunge la Riforma Gelmini del 2009, che ha ridimensionato l’Istituto Nautico – oggi Istituto di Trasporti e Logistica – depotenziando la formazione dei futuri marittimi italiani e aprendo la strada al business dei centri di formazione privati.
Anche l’accesso agli imbarchi per gli Allievi Ufficiali è stato stravolto da iter complessi e non contemplati dal Codice della Navigazione, rendendo sempre più difficile per i giovani trovare un posto nell’organico delle navi. Il risultato è una generazione di marittimi precari, costretti a combattere contro normative penalizzanti e la mancanza di sbocchi professionali adeguati.
Le proteste e il silenzio delle istituzioni
Negli anni, la categoria ha più volte denunciato questa deriva. Tra gli episodi più eclatanti, lo sciopero del 2017 davanti al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, allora guidato da Graziano Delrio, rappresentò un grido d’allarme sulla necessità di riforme urgenti. Tuttavia, le successive gestioni ministeriali non solo hanno ignorato le richieste, ma hanno addirittura peggiorato la situazione.
Un altro momento cruciale è stato il 5 febbraio 2019, quando un gruppo di marittimi ha presentato un documento dettagliato sulle problematiche del settore presso Montecitorio. Grazie alla mediazione di Salvatore Mare e al supporto di alcuni parlamentari, il documento fu discusso in un tavolo tecnico interministeriale, ma senza alcun seguito concreto.
Oggi, la battaglia prosegue grazie a realtà come Marittimi d’Italia, gruppo social con oltre 11.000 membri, e Identità Mediterranea, associazione culturale impegnata nella difesa della marineria italiana. Il 24 febbraio scorso, questi gruppi hanno inviato una lettera alle massime cariche del governo – tra cui il ministro Matteo Salvini e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni – chiedendo risposte chiare su sei questioni fondamentali per il settore.
Le sei domande ai governanti
La lettera sottolinea alcuni nodi cruciali che necessitano di un intervento immediato:
- Ripristino dei titoli professionali: il DM 30/11/2007 ha abolito i titoli marittimi, sostituendoli con certificati di competenza a scadenza quinquennale. Questo impedisce ai marittimi di cambiare occupazione senza perdere la loro qualifica. Si chiede dunque il ripristino dei titoli senza scadenza.
- Formazione e aggiornamento: attualmente, la scadenza dei certificati di competenza obbliga i marittimi a ripetere esami già sostenuti, con costi aggiuntivi e complicazioni burocratiche. Si chiede una revisione delle norme in linea con gli standard internazionali.
- Digitalizzazione del sistema: gli uffici della Gente di Mare operano ancora con procedure cartacee obsolete, senza una rete telematica unificata. Si chiede un sistema moderno ed efficiente.
- Pensionamento anticipato per i marittimi: il riconoscimento del lavoro marittimo come attività usurante permetterebbe ai lavoratori di andare in pensione prima dei 65 anni, evitando rischi per la sicurezza a bordo.
- Coinvolgimento dei marittimi nelle decisioni: attualmente, il settore è gestito da burocrati e dal Corpo delle Capitanerie di Porto, senza un vero coinvolgimento dei lavoratori. Si chiede la creazione di un gruppo di lavoro indipendente con rappresentanti diretti dei marittimi.
- Diritto di voto per i marittimi imbarcati: ad oggi, chi lavora su navi battenti bandiera estera non può esercitare il diritto di voto. Si chiede l’estensione di questo diritto a tutti i cittadini italiani imbarcati.
Un settore dimenticato, ma essenziale per il Paese
La crisi della Marineria Italiana non è solo un problema occupazionale, ma un’emergenza nazionale. Il declino della Flotta Mercantile di Stato, la difficoltà nel garantire equipaggi italiani adeguatamente formati e il disinteresse per la continuità territoriale tra le isole e la terraferma sono segnali inequivocabili di una politica miope e dannosa.
Se il governo continuerà a ignorare le richieste dei marittimi, l’Italia rischia di perdere definitivamente il suo storico ruolo di potenza marittima. Il tempo per agire è ormai agli sgoccioli.