La società odierna e le istituzioni preposte, in stato di palese fatiscenza ammainano le vele sul disagio giovanile dirompente e prepotentemente inviso da chi non ne sopporta più la diffusiva esistenza.
Una società malata, frantumata e liquefatta produce effetti deleteri sulle nuove generazioni. Il disagio manifestato dai giovani, in tutte le sue forme rappresentative, sembra assumere proporzioni smisurate ed incontenibili, soprattutto nei suoi contorni esistenziali.
Il bullismo, il cyberbullismo, la demotivazione, l’apatia, l’hikikomori, la ludopatia, la tossicodipendenza, la violenza sfrenata ed incontrollabile, le rapine ed i furti in notevole aumento così come il porre fine alla propria vita sono endemicamente connessi in quanto elementi palesi di una forte e decisa mancanza di senso della propria esistenza. I ragazzi, i giovani, chi in modo silente chi in modo clamoroso, traducono un’insofferenza ed un’insoddisfazione di un apparato sociale ormai destabilizzante e decisamente fuorviante. Probabilmente, solo attraverso l’instaurazione di solide e ben strutturate autentiche situazioni educative, si potrebbe pensare di averne un riscatto, sapendone accogliere le sfide e le opportunità.
L’epoca delle passioni tristi
Gli studiosi di scienze umane, da più tempo, hanno dichiaratamente affermato come siano seriamente e giustamente preoccupati dalla richiesta crescente di aiuto rivolta loro dai giovani, per cui molti hanno iniziato ad indagare sulla reale portata e sulle cause di queste manifestazioni comportamentali “disturbate” che vengono annoverate sotto il termine di disagio.
Con il termine disagio giovanile s’intende il malessere in età evolutiva, il non-agio, tipico soprattutto dell’adolescenza, il quale non è caratterizzato da particoli pattern tipici di alcune psicopatologie ma può essere il risultato di molteplici concause che intaccano il benessere dei ragazzi.
Da un punto di vista ontologico-evolutivo, l’adolescenza, infatti, è una fase di passaggio, caratterizzata da molteplici cambiamenti in tutte le aree dell’identità, dal raggiungimento di importanti compiti evolutivi e da un conflitto interiore tra la spinta naturale a crescere e divenire adulti e il desiderio di sentirsi ancora bambini. Stante che, in ogni individuo il fattore genetico interagendo con il fattore ambientale ne determinano entrambi la conseguente manifestazione comportamentale, l’elemento perturbativo di una sana crescita evolutiva potrebbe essere in gran parte attribuibile all’ambiente, a partire da quello familiare, alla scuola, alla società.
Abitiamo e viviamo in un’epoca dominata da quelle che Spinoza (Amsterdam, 24 novembre 1632 – L’Aia, 21 febbraio 1677) chiamava le ‟passioni tristi”, molto più tardi ripresa da Miguel Benasayag, Gérard Schmit “L’epoca delle passioni tristi” – 2014 – Feltrinelli Editore: guerre, pandemie, povertà, disonestà, accidia, egoismi, gelosie, invidie, alterazione e distruggimento totale dell’habitat naturale, perfidia, indifferenza, abbattimento dei sistemi etico-valoriali, mancanza di guide e di punti di riferimento, analfabetismo culturale, annichilimento delle istituzioni e tanto altro incombono su ognuno di noi e si ripercuotono violentemente sugli adolescenti e sui giovani cui questi ultimi ne assimilano il senso pervasivo di impotenza e di incertezza non favorendone conseguentemente la crescita e lo sviluppo armonico delle personalità. Niente e nessuno si senta escluso. Ognuno per il ruolo che riveste nel sociale debba ad un tempo sentirsi “ignorato ed ingiuriato a giusto titolo” per ciò che non fa e ancor di più per ciò che, per impegno civile e morale, deve fare (l’uso del presente indicativo al posto del condizionale presente è necessario perché funga da imperativo categorico).
La coscientizzazione pedagogica
Negli adolescenti, nei giovani, ormai, per troppo tempo “ingannati” ed abbandonati a sé stessi, come se fossero dei “vuoti a perdere”, serpeggia e si radicalizza la mancanza di senso alla propria esistenza ed i succedanei immediati e diretti vengono forniti da una società sempre più “evoluta” ma sempre meno attenta ai loro reali e naturali bisogni che, sotto mentite spoglie, trascendono la mera materialità – pur essendo consapevoli che quest’ultima risulti necessaria per il vivere quotidiano. – E in tal senso si innesta la responsabilità “educativa” di chi ne è preposto alle “cure”, all’”accudimento” ed all’”erogazione”. In questo caso si vorrebbe fare ricorso ad una visione più pedagogico-educativo del problema, senza dimenticarne le importanti teorie di base della psicologia dello sviluppo e le più recenti e fruttuose analisi terapeutiche. La chiave di lettura del fenomeno viene così circoscritta all’interno di una prospettiva prettamente esistenziale, al di là degli elementi patologici ai quali imputare la sofferenza ed al di là dei bisogni reali summenzionati.
In altri termini, la dimensione educativa per affrontare tale problematica va nella direzione di sostenimento delle potenzialità dei giovani, nonostante le difficoltà; nel rafforzamento delle loro risorse e capacità resilienti al di là delle loro mancanze da colmare. È bene che sia chiarito il principio incontrovertibile secondo il quale i pre-adolescenti, gli adolescenti, i giovani, mai come ora necessitino di trovare e ri-trovare la primaria volontà di esistere, di essere, di vivere. Urge più che mai la rimessa in gioco del ripensamento ed alla riorganizzazione delle istituzioni preposte all’elargizione del sistema “educazione”, il cui termine deriva dal verbo latino educere – condurre, accompagnare. Va da sé che, se il significato del termine è quello anzidetto, tanto più efficace e consapevole diventi l’azione di “educare”, quanto più importante ne sia l’atto che ne promuova l’insorgenza.
In altri termini, il mondo dell’adultità non deve e non può delegare le proprie responsabilità verso coloro i quali dovrebbere arrecare ed essere portatori di un’esistenza futura, tanto cara sia a chi già vive la propria maturità e ancor più verso coloro i quali ne costituirebbero l’asse portante. È indubbio che per esperienza e per conoscenze e competenze l’adulto dovrebbe fungere da guida, da fautore e promotore del benessere dei giovani, non fosse altro perché le domande di senso sulla propria vita rispetto al giovane dovrebbero essere già risolte, qualora non si riscontrasse una inconsapevole mancata “coscientizzazione” del problema. Nel caso in cui si dovessero riscontrare delle continue conflittualità tra le due generazioni, non sarebbe sano e ancor più proficuo tenerle “latenti” attraverso opere derisorie di comportamenti “semi-seri” e appagatori dell’istante, ma sarebbe lecito indurre entrambi a spiegazioni razionali e contingenti, utili sia per chi educa che per chi viene educato.
Non è un compito semplice, ma indubbiamente resta quello più consono eticamente perché possa essere recuperata quella dimensione “spinoziana” della gioia del potere di esistere con immarcescibile pazienza.
Quali sfide e quali opportunità
É chiaro che la condizione giovanile di disagio insorge perché il soggetto da educare non è “attrezzato” per detreggiarsi nell’oscillazione tra un tempo di tristezza e di felicità. Il punto è piuttosto quello di raggiungere una fase di equilibrio, una sorta di tranquillità dell’animo, come nella filosofia stoica, come un’abitudine, un abito da indossare. Certamente non è attraverso insegnamenti concettualizzati formalizzati e rigidamente strutturati che passa una sana formazione, nè attraverso l’arrogante austera posizione di alterità dell’educatore perché detentore di “verità assolute”, ma di inizio, prosecuzione e confronti continui in cui entrambi i soggetti, si conducono in questo percorso esistenziale chiamato vita.
Entrambi costruiscono una relazione in cui il singolo necessita della presenza dell’altro è viceversa. Il vero maestro è colui il quale fa sperimentare per “tentativi ed errori” anche le situazioni più cupe e drammatiche della vita, ma è anche colui il quale, in caso di richiesta di aiuto, saprà fornire gli elementi determinanti perché possa risolvere un problema e, maieuticamente, elevare i punti di debolezza del giovane in punti di forza. Ecco perché come afferma Dacia Maraini nella prefazione del libro di Maria Luisa Chiaretti, Pier Paolo Pasolini – Il coraggio di essere sé stessi, Armando editore, pp 147, 2022, p.13 – “In una società che premia solo il successo e i vincenti, Pasolini vuole educare i giovani al valore della sconfitta, vuole invitarli a: “A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati.”
Le sfide della moderna contemporaneità sono tantissime e variegatissime, probabilmente molto difficoltose da affrontare ad ogni stadio di sviluppo della personalità, ma ciò non toglie che sia più che mai necessario fronteggiarle. E per rifarci al filosofo Spinoza il fatto che esista la necessità non implica affatto che l’uomo non possa avere margini di libertà, anzi la libertà è “la coscienza stessa della necessità”. Più si conosce ciò che ci condiziona, più siamo liberi. Più si è capaci – soprattutto in un momento del genere – di elaborare le criticità, più si è in grado di raggiungere la “gioia” e soprattutto dare un significato a quella mancanza di senso che tanto contamina, invade e pervade gli adolescenti ed i giovani.