In un caldo luglio del 1954, nelle raffinate sale di San Pellegrino Terme, dieci scrittori già affermati attendevano altrettanti sconosciuti letterati selezionati, un po’ per scommessa, un po’ per capriccio. Nessuno, quel giorno, avrebbe immaginato che tra quegli illustri ignoti ci sarebbe stato il preludio di una delle storie letterarie più affascinanti e paradossali d’Italia.
Di quei dieci emergenti non rimase memoria, salvo per uno: Lucio Piccolo, scelto personalmente da Eugenio Montale, che ne aveva ricevuto i versi i “Canti barocchi” quasi per caso, dopo aver pagato 180 lire per una multa postale. Montale stesso confessò, sorridendo, che si trattò delle “180 lire meglio spese della storia letteraria recente”. Piccolo non arrivò da solo: con lui viaggiavano un servitore personale e un enigmatico cugino, più anziano e taciturno, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, principe di una delle più antiche e nobili casate europee.
Quel principe silenzioso, che in quei giorni non pronunciò quasi parola, si sarebbe poi rivelato il vero protagonista nascosto della storia. Tornato a Palermo, ispirato dall’esperienza appena vissuta, iniziò a scrivere febbrilmente quello che diventerà uno dei più grandi romanzi del Novecento italiano: “Il Gattopardo”.
Dal mito alla storia: il Gattopardo
Giuseppe Tomasi, nato a Palermo il 23 dicembre 1896, portava sulle spalle il peso glorioso di una casata che affondava le proprie radici nella leggenda bizantina. L’emblema araldico della famiglia, un felino rampante noto come “leopardo illeonito”, volgarmente “gattopardu” in Sicilia, era il simbolo di una discendenza che attraversava secoli e imperi, fino a incrociare persino la famiglia di Giacomo Leopardi. Ma questa grandezza, ufficialmente certificata da un decreto ministeriale del 1903, era destinata a dissolversi rapidamente nel Novecento.
La vita di Giuseppe Tomasi è permeata di contraddizioni: narrata in leggende più o meno autentiche come la fuga eroica da un campo di prigionia durante la Prima guerra mondiale, mai realmente avvenuta fu segnata soprattutto da una passione assoluta per la lettura e il viaggio. Poliglotta autodidatta, intellettuale raffinato e cosmopolita, Tomasi aveva sposato nel 1932 a Riga la nobildonna lettone Alessandra Wolff Stomersee, discendente diretta dei circoli aristocratici zaristi. Il matrimonio, privo di figli, segnava l’inevitabile conclusione biologica della dinastia dei Lampedusa.
Una vita tra gloria e decadenza
L’evento che più di ogni altro segnò il declino definitivo di Tomasi fu il bombardamento alleato su Palermo del 1943, che distrusse Palazzo Lampedusa, culla dei suoi ricordi e del suo orgoglio familiare. Ciò che sopravvisse al primo bombardamento venne distrutto poco dopo in un altro attacco a Capo d’Orlando. Dalla perdita irrimediabile degli affetti materiali nasce una ferita che non si sarebbe mai più rimarginata, ma che avrebbe nutrito la malinconia delle pagine del suo romanzo.
Nel dopoguerra Tomasi visse con discrezione, tra caffè letterari e librerie, diventando mentore di giovani intellettuali, nonostante fosse rimasto lontano da incarichi accademici. Fu solo dopo l’incontro di San Pellegrino che iniziò davvero a scrivere, quasi con urgenza, per fissare sulla carta quella storia familiare che gli sfuggiva e che si identificava ormai con il destino di una nazione intera.
Il rifiuto e il successo postumo
La sorte editoriale del “Gattopardo” fu paradossale quanto la vita del suo autore. Rifiutato clamorosamente da Elio Vittorini sia per Mondadori che per Einaudi, il manoscritto finì quasi miracolosamente nelle mani di Giorgio Bassani, allora consulente per Feltrinelli, che ne intuì immediatamente il valore letterario assoluto. Il principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa morì il 23 luglio 1957, pochi giorni dopo aver appreso l’amaro rifiuto della sua opera.
Pubblicato postumo nel 1958, “Il Gattopardo” conquistò il Premio Strega l’anno successivo, divenendo presto un fenomeno letterario internazionale, consacrato poi anche dal celebre film di Luchino Visconti nel 1963. Il libro è divenuto un classico moderno, punto di riferimento imprescindibile per capire l’anima profonda di una Sicilia irredimibile, sospesa fra rivoluzione e conservazione, splendore e decadenza.
Un’opera universale tra ironia e disillusione
Attraverso il principe Fabrizio Salina, alter ego letterario di Giuseppe Tomasi, “Il Gattopardo” esplora con lucida ironia e malinconico distacco i limiti e le contraddizioni del Risorgimento italiano. La Sicilia, terra tanto amata quanto spietatamente rappresentata, diventa simbolo di un’Italia che cambia in superficie ma che, nella sostanza, resta sempre uguale a sé stessa.
Non è un caso che Leonardo Sciascia, inizialmente diffidente verso Tomasi, abbia infine riconosciuto la grandezza della sua opera, definendola “una lucida profezia” della realtà meridionale e italiana.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa resta così, a oltre sessant’anni dalla morte, l’ultimo principe della letteratura italiana, autore immortale di un romanzo che continua a interrogarci sul nostro passato, sul nostro presente e, forse, anche sul nostro futuro.