Torna, come ogni anno, il Carnevale. Si accantonano pensieri e dispiaceri, trionfa l’allegria. Pochi giorni, poche ore di innocente follia collettiva: è un rito che si celebra ovunque. Da Venezia a Napoli, da Ivrea a Viareggio, da Roma a Milano, da Rio de Janeiro a San Francisco, a Losanna, Basilea, Vienna, Monaco…
E’ l’apoteosi della spensieratezza. Ma perché questa festa? Cosa spinge la gente ad indossare i costumi più diversi, a mascherarsi, a far baldoria, a sfilare in cortei, a costruire carri allegorici? E’ una storia antica, che si perde nel buio dei secoli.
Iniziamo dal significato della parola Carnevale. Il termine è strettamente legato alla parola “carne”. Potrebbe avere due derivazioni : dalla frase latina “carnem levare”, cioè togliere la carne, oppure da “carne vale!”, che significa appunto “carne, addio!” Dopo il Carnevale, che da secoli è una festa cristiana, c è infatti il periodo quaresimale. Così, in previsione di giorni di digiuno e di penitenza, l’uomo pensò bene di “fare il pieno”, dedicandosi ai piaceri più svariati. E la tradizione è arrivata fino a noi. Nona caso l’ultima settimana del Carnevale viene chiamata “settimana grassa”.
L’era cristiana, comunque, aveva ereditato la festa dalle tradizioni pagane. Prima di Cristo le popolazioni avevano infatti già preso gusto a festeggiare nello stesso periodo, ma per motivi che ovviamente non potevano avere alcun riferimento alla Quaresima e alla Pasqua. I pagani festeggiavano l’avvento della primavera: ballavano, cantavano, stavano a tavola per ore, organizzavano anche riti propiziatori per scacciare gli spiriti del male e ottenere un buon raccolto con l’arrivo della primavera.
Poi, come racconta lo storico Livio, nel 263 a.C. in occasione della costruzione di un tempio dedicato a Saturno, a Roma nacquero i “Saturnali”, feste spettacolari e pittoresche che vennero riproposte in seguito ogni anno, in marzo. I “Saturnali” vennero poi anticipati in un periodo diverso, tra gennaio e febbraio, più o meno nel periodo che adesso caratterizza il nostro carnevale. E infatti sono proprio i “Saturnali” i progenitori del Carnevale, forse insieme ai “Baccanali”, quelle feste in cui, sempre in era pagana, veniva abitualmente adottato l’uso della maschera, ereditata dal teatro greco.
Con l’avvento del Cristianesimo molte usanze pagane vennero abolite. Alcune però rimasero, anche se adattate alle esigenze della nuova religione. Verso il IV -V secolo d.C. venne stabilito di festeggiare il carnevale prima dell’inizio della Quaresima, che a sua volta precede la Pasqua. Da allora la festa si conclude di martedì, il giorno prima delle Ceneri. Essendo legato alla Pasqua il carnevale è, anch’esso, una “festa mobile”, cioè non ha una data fissa. Di fisso c’è soltanto che si conclude 47 giorni prima della Pasqua, che ricorre la domenica seguente il primo plenilunio di primavera. Soltanto Milano ha una regolamentazione diversa del carnevale. Fin dai tempi di S. Ambrogio qui la festa dura di più: finisce il “sabato grasso”, cioè alla vigilia della prima domenica di Quaresima.
Una data fondamentale nella storia del carnevale in Italia è il 1467. In quell’anno, infatti, papa Paolo II nobilitò la festa trasferendola dal quartiere periferico del Testaccio al centro di Roma. Il pontefice assistette alle corse cui partecipavano, come al solito, “giudei”, ragazzi e vecchi; poi organizzò un gigantesco banchetto popolare in piazza, proprio sotto le sue finestre, e invitò tutti i nobili cittadini. Patrocinò anche un corteo mascherato, finanziandolo con 400 fiorini: fu il primo corteo mascherato della storia.
Nei tempi antichi il popolo era soprattutto spettatore del Carnevale. Chi si mascherava, chi sfilava sui carri, chi gozzovigliava, erano i nobili, I RICCHI. La “follia collettiva” fu un fenomeno della seconda metà dell’Ottocento. La gente comune cominciò a sentire il desiderio di emulare i ricchi: tutti adattarono vecchi vestiti, indossarono buffe maschere, diedero vita a caotici cortei popolari. E sempre nell’Ottocento, verso la fine, nacque anche l’abitudine di lanciare coriandoli e stelle filanti. Già in passato c’era l’usanza di gettare addosso alle maschere fiori e dolciumi in genere, ma anche sassi, pezzi di vetro e residui organici. La degenerazione del rito portò alla necessità di una regolamentazione, e così ci fu chi pensò di inventare qualcosa di meno pericoloso e sgradevole. Prima si cominciò a gettare semi di coriandoli, un tipo di erba selvatica, poi piccoli pezzi di carta che vennero appunto chiamati coriandoli.
Ogni città, ogni regione adatta la festa alla sua realtà sociale e alle sue tradizioni, alla sua storia. Oggi il più importante carnevale italiano è probabilmente quello, risorto, di Venezia, che ripropone un’antica e felice tradizione. Anche se la festa attuale è più una riuscita festa commerciale e turistica piuttosto che un vero e proprio ritorno alla spensieratezza e alla “follia” di un tempo.