Dubbi inquietanti per chi investiga sulle circostanze inerenti la morte ma soprattutto le fasi successive al decesso della piccina di Acerra di nove mesi, sbranata sabato sera dal pittbull di casa. Il padre della piccola Giulia, dopo aver dichiarato al pronto soccorso che l’aggressione era avvenuta da parte di un cane randagio, aveva immediatamente dopo ammesso ai carabinieri che l’attacco mortale era invece accaduto in casa ad opera del pittbull di famiglia.
Il padre della piccola vittima ha dichiarato inoltre che l’aggressione da parte del cane sarebbe avvenuta nella stanza ove si trova il letto matrimoniale. Il padre si sarebbe addormentato nel letto, con la piccola sulla sua sinistra, intorno alle 22,30 e quando si sarebbe risvegliato poco prima della mezzanotte avrebbe trovato la bimba sul pavimento accanto al letto in una pozza di sangue. Il padre afferma altresì che avrebbe preso la bambina tra le braccia e corso verso il vicino pronto soccorso, distante meno di trecento metri, mentre durante il breve tragitto chiamava il 118 per allertare i soccorsi.
Ma i dubbi sono tanti, sollevati innanzitutto dal momento della morte, che parrebbe dover essere retrodatato almeno di un’ora e mezza rispetto al momento in cui la bimba è giunta al pronto soccorso, in considerazione dello stato della salma constatato dai medici all’arrivo nella struttura sanitaria. E tale circostanza fa pendant con il fatto che nella giornata di oggi i RIS hanno constatato che la casa non presenta tracce di sangue evidenti. Inoltre già nei giorni scorsi gli accurati esami svolti dalla ASL Napoli 2 sui cani (in casa oltre al pitbull vi era un altro cane di piccola taglia) avevano appurato che né nella bocca, né sul muso, né sul corpo del pittbull vi fossero tracce organiche della piccola Giulia, mentre una lieve traccia era presente sul corpo dell’altro cane.
E’ lecito dunque avere il terribile sospetto che nell’ora e mezza trascorsa dalla morte della bimba al suo arrivo al pronto soccorso il padre si sia preoccupato di pulire casa e fare altrettanto con il pittbull per provare a rendere credibile la dichiarazione relativa all’aggressione da parte di un randagio, ritenendo che, asserendo tale dinamica, non gli sarebbe stato contestato alcunchè sotto il profilo delle responsabilità penali. Ora, ammettendo che tali disamine siano reali, sia sotto il profilo degli eventi che dell’aspetto psicologico (elemento soggettivo del reato) del padre di Giulia, egli ha aggravato notevolmente la sua posizione.
Si ripete, partendo dal presupposto che la vicenda si sia svolta con i connotati narrati, occorre poi fare un distinguo tra l’ipotesi in cui la bambina fosse già morta quando il padre si è svegliato e invece l’ipotesi in cui la bimba fosse gravissima ma ancora viva. Tali due ipotesi comporterebbero valutazioni di ordine morale ma soprattutto legali, sotto il profilo dei capi d’imputazione contestabili, completamente diverse. E ancora, ci si chiederebbe come può una persona comune, dunque non un sanitario, essere certo che la bimba fosse già morta?
E’ comprensibile che ad un normale cittadino il racconto sul presunto comportamento del padre di fronte al corpo della bimba poco interessi per “condannarlo a vita” se la bimba fosse grave o morta, ma sotto il profilo giuridico la differenza comporta capi di imputazione completamente diversi. E spingiamoci oltre (perché allo stato il padre della bambina nega la ricostruzione alla quale verosimilmente si approcceranno gli inquirenti). In siffatta fattispecie, nell’ipotesi in cui la difesa del padre di Giulia riesca a dimostrare che al suo risveglio Giulia fosse indiscutibilmente, assolutamente e indubbiamente morta, la natura del reato contestato sarebbe di tipo colposo, in parole povere l’indagato verrebbe condannato per negligenza ed imprudenza, salvo l’ulteriore imputazione per l’omessa custodia nei confronti della figlia minore. Ma nel caso in cui la bambina non fosse ancora morta quando il padre ha preso conoscenza dell’accaduto e si sia preoccupato di ripulire la scena del delitto nonché il cane per nascondere le prove delle sue responsabilità, mettendo in secondo piano la possibilità di salvare la bimba con un tempestivo soccorso, in questo caso il capo d’imputazione potrebbe senz’altro essere l’omicidio volontario, nella sua categoria del dolo eventuale, in quanto il padre, pur di realizzare lo scopo della sua impunità, ha accettato che le conseguenze della sua condotta potessero produrre la morte della figlia.
Altra possibilità pur presa in considerazione dagli inquirenti è che il padre di Giulia non fosse proprio in casa nei momenti in cui il pittbull aggrediva la bimba. Tale possibilità – che non escluderebbe nel prosieguo le azioni o omissioni pur considerate sopra – ovviamente aggraverebbe la posizione dell’indagato sia nel caso di responsabilità colpose che dolose.