La scomparsa di David Lynch ha lasciato dietro di sé un vuoto incolmabile nel mondo del cinema e dell’arte in generale, improvvisamente orfani di uno dei suoi esponenti più brillanti, folli e influenti degli ultimi cinquant’anni e oltre. In tanti, sull’onda emotiva del momento, potrebbero decidere di avvicinarsi alle sue opere: mai come in questi casi, dunque, un piccolo vademecum può tornare enormemente utile.
Per avvicinarsi a David Lynch non si può non partire dalle origini: Eraserhead – La Mente che Cancella, datato 1975, è il film d’esordio del regista e a partire dalla scoperta del protagonista Henry Spencer di essere sul punto di diventare padre ci proietta in un mondo di incubi (a occhi aperti e non), tra embrioni giganti, letti che diventano vasche, neonati mutanti e un crescendo di inquietudine che sfocia nell’enigmatico finale dal quale, come sarà per ogni capitolo della filmografia di Lynch, ognuno potrà trarre ciò che crede.
Il passaggio successivo non può che essere Velluto Blu, seconda collaborazione tra Lynch e il suo attore-feticcio Kyle MacLachlan: quest’ultimo interpreta in questo caso Jeffrey, uno studente che, dopo aver trovato un orecchio mozzato, comincia in compagnia della coetanea Sandy (una meravigliosa e poco più che esordiente Laura Dern) a indagare sulla cosa, finendo con lo smascherare un inquietante substrato di droga, sesso, violenza e criminalità che prospera sotto l’apparente tranquillità della cittadina di Lumberton. Si tratta della prima volta in cui vediamo il regista all’opera con il noir e il giallo, generi al quale tornerà spesso sfruttandoli per indagare, come forse nessuno prima di lui, le profondità più recondite dell’animo umano.
Laura Dern torna come protagonista anche in Cuore Selvaggio, terzo film della nostra selezione, al fianco di un Nicolas Cage completamente folle: road movie unico nel suo genere (nonché omaggio neanche troppo velato al Mago di Oz), il film con Willem Dafoe e Isabella Rossellini ci porta in viaggio lungo l’America insieme a Sailor e Lula, protagonisti di una storia d’amore tormentata dai sentori vagamente shakespeariani, tra omicidi, rotture, ripensamenti, nuove rotture, scene di violenza insane e volutamente tendenti all’esagerazione e tanto altro. Un viaggio che servirà non solo a esplorare l’amore tra i suoi due protagonisti, ma soprattutto a scavare in profondità nell’animo di Sailor, che dovrà decidere se far pace o meno con quell’animo irrequieto che sembra dettare ogni suo gesto.
Mulholland Drive è invece ritenuto quasi all’unanimità, tra critica e pubblico, il vero capolavoro di David Lynch: anche in questo caso si parte da un giallo a tinte noir, il genere perfetto per raccontare la storia della donna senza nome che, sopravvissuta a un incidente sulla celebre strada che dà il titolo al film, tenterà di ritrovare la sua identità con l’aiuto dell’aspirante attrice Betty. Si tratta di nient’altro che del punto di partenza di un incredibile e inquietante viaggio nell’inconscio della protagonista (anzi, delle protagoniste!) e dell’essere umano la cui vetta emotiva si trova nell’incredibile sequenza del Club Silencio, della cover di Crying di Roy Orbison e del ritrovamento della misteriosa scatolina blu. Senza ombra di dubbio una vera pietra miliare della storia della settima arte.
L’ultimo film di Lynch, Inland Empire, è anche quello che chiude la nostra selezione (per quanto riguarda il grande schermo): protagonisti sono due attori che, dopo esser stati scelti per interpretare un film, si ritrovano a far parte di una storia assurda e inquietante, cominciando di lì a poco a confondersi con i personaggi che interpretano. Si tratta di uno dei progetti più onirici e misteriosi di Lynch, sempre più influenzato dalla sua passione per la meditazione trascendentale: Inland Empire è un film dal significato oscuro come pochi altri e proprio per questo affascinante nel suo aprire a mille e più ipotesi sulla sua interpretazione, lasciandoci inoltre con l’enorme rimpianto di non aver mai potuto scoprire ciò che Lynch avrebbe ancora potuto regalare al cinema se, dopo il 2006, avesse trovato dei produttori ancora desiderosi di finanziare le sue lucide follie.
Il +1 del titolo ha infine un solo nome: Twin Peaks, capolavoro con cui Lynch ha manifestato la sua arte sul piccolo schermo. Serie capace di cambiare per sempre e irrimediabilmente la storia e la percezione della serialità televisiva, Twin Peaks si muove a partire dal ritrovamento del cadavere di Laura Palmer nella tranquilla cittadina che dà il titolo all’opera e si propaga poi in territori oscuri e inesplorati, tra segreti e complotti, realtà e dimensione onirica, fino a tentare di spiegarci, con quella folle terza stagione uscita più di quindici anni dopo l’esordio, le origini del male stesso, tra esplosioni atomiche, viaggi interdimensionali e quant’altro. Un passaggio obbligato per chiunque voglia (provare a) capire l’immensità del genio che abbiamo perso non più di qualche giorno fa.