Negli ultimi anni, la violenza giovanile ha assunto un ruolo sempre più centrale e impegnativo nelle cronache nazionali e internazionali. I fatti di sangue, i pestaggi di gruppo e persino le aggressioni premeditate tra minorenni non rappresentano più episodi isolati, ma sintomi di un malessere socio-economico-politico maggiormente più ampio, più variegato. Le domande che emergono con forza sono molteplici: perché i giovani sembrano più propensi alla violenza? Quali fattori alimentano questa tendenza?
Un recente episodio che ha scioccato l’opinione pubblica italiana è avvenuto a Napoli, dove un sedicenne è stato brutalmente pestato da un gruppo di coetanei per una banale lite scaturita sui social. Simili dinamiche si riscontrano in altri episodi in tutto il mondo, basti pensare all’aggressione mortale contro il diciottenne Brianna Ghey nel Regno Unito, un caso che ha sollevato e solleva interrogativi sull’impatto dell’omofobia e della discriminazione di genere nei contesti adolescenziali. Questi eventi fanno emergere come la violenza non sia soltanto un’espressione fisica, ma anche il risultato di un clima culturale di insicurezza, di rabbia, di inettitudine, di incertezza e di forte disagio esistenziale.
Fattori scatenanti: l’era digitale e il vuoto emotivo
Uno degli elementi principali che contribuiscono all’aumento della violenza è il contesto digitale. I social media, pur essendo strumenti di connessione, spesso si trasformano in arene di bullismo, umiliazione pubblica e sfide pericolose. Il fenomeno del cyberbullismo agisce come una miccia: bastano poche interazioni negative per scatenare conflitti che possono culminare in aggressioni fisiche. La condivisione virale di video di risse e pestaggi, spesso ripresi dagli stessi protagonisti, amplifica il senso di accettabilità sociale della violenza, trasformandola in uno spettacolo.
Ecco che questa spettacolarizzazione già ampiamente diffusa nell’adultità tanto da diventarne una cospicua e redditizia “attività lavorativa” – si pensi al fenomeno degli influencer sulle varie piattaforme sociali più notorie – accompagni di rimando una disvalorizzazione amorale dei principi più sani e più determinanti del comune vivere civile e civico, in cui i giovani sin dalla più tenera età ne pagahino le conseguenze, le più deleterie. Nessuno si senta escluso.
Il cosidetto, ironicamente definito “ministero della delega”, indicizzando l’altro come solo e unica causa dell’insorgenza del fenomeno “violenza” è omertoso e infruttuoso, anche perché non solo “questi poveri vuoti a perdere”, l’attuale gioventù non ha più esempi, guide da seguire, ma coloro i quali istituzionalmente dovrebbero personificarlo non sono di meno rispetto al fenomeno generalizzato. Ed è proprio qui che ci sarebbe tanto da scrivere e da informare soprattutto da parte di chi ne funga, istituzionalmente, la rappresentatività. Si potrebbero scrivere illimitate pagine di narrazione, il cui sostantivo “narrazione” non è affatto sinonimo di racconto, in cui la veste interpretativa potrebbe dare una visione falsata dei fatti, è vero l’esatto opposto: aprire le menti obnubilate e togliere “le fette di prosciutto” dagli occhi di coloro che sanno ma non dicono e vedono, ma restano ciechi.
A questo si aggiunge un senso di vuoto emotivo che permea molte realtà giovanili. Immani studi psicologici sottolineano come l’assenza di figure di riferimento stabili, la mancanza di empatia, la coscientizzazione dell’Essere invece di lasciarsi vivere in funzione di piaceri effimeri e inconsistenti in paradisi artificiali contornati dall’assenza più totale di ogni pudicizia e pudore, siano tra le principali cause di comportamenti antisociali. Molti adolescenti vivono una sorta di “disconnessione” affettiva: relazioni familiari fragili, pressione scolastica e difficoltà economiche contribuiscono a generare insicurezza e rabbia repressa, che spesso si sfoga in comportamenti distruttivi. Da qui la nascita della cosiddetta generazione Z che volente e nolente ne paga lo scotto più pesante di una diffusa anaffettività e di un’educazione sentimentale di cui tutti se ne riempiono la bocca, ma nessuno muove un dito per debellare il primo fenomeno e rafforzarne il secondo.
La responsabilità collettiva e le sfide educative
La responsabilità di arginare questo fenomeno non può ricadere esclusivamente sui giovani. La società adulta gioca un ruolo cruciale nel costruire modelli educativi più inclusivi e strumenti di prevenzione efficaci. Tuttavia, la carenza di investimenti nel sistema educativo, l’assenza di programmi di sensibilizzazione e una comunicazione spesso incentrata sulla criminalizzazione piuttosto che sull’ascolto attivo rischiano di aggravare la situazione.
Un caso emblematico è rappresentato dalle cosiddette baby gang, gruppi di adolescenti coinvolti in reati violenti, spesso in quartieri marginalizzati. In questi contesti, la povertà e l’esclusione sociale creano un terreno fertile per il reclutamento in attività illecite. Piuttosto che intervenire con misure repressive, come spesso accade, sarebbe necessario lavorare sulle cause strutturali, offrendo opportunità di integrazione e crescita.
Anche il mondo dei media ha una responsabilità significativa. Come summenzionato, la spettacolarizzazione della violenza, soprattutto nei programmi televisivi e nei contenuti online, contribuisce a una normalizzazione del fenomeno. È fondamentale cambiare narrativa, enfatizzando modelli positivi e storie di resilienza.
Un impegno condiviso per il cambiamento
La violenza giovanile è il riflesso di un sistema sociale valoriale in crisi, in cui la fragilità delle relazioni interpersonali e la carenza di risorse educative lasciano spazio a dinamiche distruttive. Superare questo fenomeno richiede un impegno condiviso, che coinvolga famiglie, scuole, istituzioni e la società civile nel suo insieme.
Interventi mirati, come l’introduzione di programmi di educazione emotiva nelle scuole, campagne di sensibilizzazione sui rischi del cyberbullismo e l’implementazione di politiche sociali più eque, rappresentano un passo avanti. Solo affrontando le cause profonde si potrà sperare di arginare la spirale della violenza, restituendo ai giovani non solo un senso di sicurezza, ma anche una prospettiva di futuro più luminosa.