Era il lontano 1995 quando Toto Cotugno portò a Sanremo uno dei suoi brani di maggior successo: Voglio andar a vivere in campagna!
Da dieci anni a questa parte nelle aree interne del nostro Paese, dati Istat, si assiste allo spopolamento con una velocità doppia (-5%) rispetto alla media nazionale (-2,2%) e nelle estreme periferie si arriva addirittura al -7,7%!
Eppure, nelle aree interne si trova il 48% dei Comuni italiani, dove vivono 13,6 milioni di persone e quindi quasi un quarto dell’intera popolazione italiana. Per il 10% di questi Comuni i tempi medi di percorrenza per raggiungere servizi essenziali, quali strutture ospedaliere, scuole, etc. è di ben 65’!
I piccoli Comuni devono fare i conti con una scarsità di risorse e dipendenti che rende difficile garantire spesso la presenza di un ufficio tecnico, di ragioneria o di un distretto di polizia.
Salerno, per esempio, con i suoi 42 Comuni ultraperiferici è la provincia con il maggior numero di borghi più lontani dai servizi essenziali.
Nel Sannio ogni mese 150 abitanti lasciano la provincia. In questo territorio il crollo demografico è il quinto peggiore in Italia, ad oggi i residenti sono poco più di 260.000, contro gli oltre 273.000 del periodo prepandemia. È solo un lontano ricordo i 330.000 abitanti del 1951.
Il flusso migratorio che origina dalle aree interne si dirige sempre più verso i centri urbani, nazionali ed esteri. Neanche a dirlo, in Italia i Comuni che registrano un aumento della popolazione sono quasi tutti al Nord. Al Sud il triste primato nella maggior diminuzione lo registra Napoli, con oltre 9.000 abitanti in meno!
Ad accelerare lo spopolamento delle nostre aree interne è anche il fenomeno, sempre più preoccupante, delle cosiddette “culle vuote”.
Questo problema, però, meriterebbe una trattazione a parte. Dovremmo interrogarci un po’ tutti sul perché oggi, in una società ormai dedita solo al consumo, i figli non rappresentino più un investimento ma bensì… un costo!
Tornando alla questione delle aree interne, queste rappresentano una superficie pari al 60% del nostro Paese e non possono essere lasciate a loro stesse.
Mai come oggi, soprattutto in considerazione dei cambiamenti climatici in atto, c’è bisogno di una maggiore tutela del territorio!
Dobbiamo correre ai ripari e invece le risorse e le strategie per mantenere vive queste aree languono. Infatti, nel Ddl di Bilancio 2025 è scomparso il contributo per i piccoli Comuni, quelli sotto i 1.000 abitanti. Mentre, i fondi per finanziare i progetti del PNRR per la riqualificazione dei piccoli Comuni hanno coperto appena il 45% delle domande presentate.
In tutti i progetti selezionati, comunque, l’elemento trainante per rilanciare il turismo, l’economia e il ripopolamento è sempre l’identità culturale. A seconda di dove ci troviamo, questa è rappresentata dai siti storici, dai percorsi religiosi, dalla bellezza dei paesaggi e dalla qualità e varietà enogastronomica.
Riabitare, progettare! Queste sono le parole d’ordine per vincere la sfida nell’arginare lo spopolamento in corso. Non servono azioni estemporanee e provvisorie, i problemi delle aree interne vengono da lontano e le soluzioni devono avere una gittata lunga. Bisogna, quindi, evitare che l’attivismo progettuale si disperda in mille rivoli incapaci di indicare una vera e propria strada da percorrere, senza un filo conduttore che li tenga tutti assieme.
Sarebbe bello e utile per il Paese se, a seguito della riqualificazione dei piccoli borghi, tornasse in noi la voglia di… andare a vivere in campagna!