Parthenope è un film di genere drammatico del 2024, diretto da Paolo Sorrentino, della durata di 136 minuti, distribuito da PiperFilm e presente nelle sale cinematografiche dal 24 ottobre.
Per non essere condizionata dal pensiero altrui, solo dopo la visione della pellicola – avvenuta ieri sera – ho deciso di leggere le varie recensioni che circolano in rete. Tutte, o quasi, stilisticamente valide nell’enunciare il significato, più o meno enigmatico, che il regista partenopeo ha voluto confezionare. Molte le parole spese, sia nel gridare al capolavoro visionario che alla mancata occasione di renderlo tale.
Dal mio punto di vista, questo film non deve essere sviscerato in ogni suo singolo aspetto. E il motivo è presto detto.
Non c’è un plot lineare, sono immagini splendide quelle che scorrono, tutte da guardare. Non necessitano di didascalie. È la rappresentazione plateale di un’interiorità, squisitamente egoriferita, corredata da elementi cinematografici che ormai caratterizzano il tratto distintivo delle sceneggiature di Sorrentino.
Perché non ci siano malintesi
perché niente si interponga
ti spiego ciò che il mio amore annunciai tuoi occhi si chiudono per lo sconcerto
e altre volte si alzano penetranti e caldi
sono così importanti che io stesso mi stupisco
Prendo in prestito alcuni versi del poeta uruguayano Mario Benedetti per introdurre lo sguardo di un uomo che guarda una ragazza, le relazioni passionali che nascono da certe frequentazioni, gli idilli morbosi, simbiotici ed ossessivi scaturenti dalla bellezza, qualità che scuote gli animi oppure li disgusta. Giochi di gesti e di parole che seducono, in cui rispecchiarsi oppure differenziarsi.
È il personale viaggio nella napoletanità del cineasta, la sua ferita d’amore tra storia e mito; per me, singola spettatrice, rappresenta la poetica immedesimazione di un sentire.
La visione di questo lungometraggio mi ha donato un benessere inaspettato, connesso ad un “tempo sospeso”, una scorrevolezza emotiva che mi ha permesso di calarmi nello spirito di una città mirabile e ordinaria, sacra e profana, celeste e mondana, triviale e aristocratica, incarnata nelle fattezze di una donna dea, Parthenope.
Napoli è l’incanto che scivola nelle sue strade, negli occhi della gente, nei loro volti, tutti disperatamente intensi, veri. I primi piani mozzano il fiato, la direzione della fotografia di Daria D’Antonio è perfetta, ineccepibile, potente.
Una donna bellissima, dannata e malata d’amore, con le sue mille contraddizioni, i suoi colori, i suoi orrori, le sue meraviglie. Affascinante e faticosa, ti mostra il meglio ed il peggio di sé in un istante, basta volgere il capo in una direzione anziché in un’altra, ma resta tra i luoghi più suggestivi e misteriosi che io abbia mai visitato.
“È impossibile essere felici nel posto più bello del mondo.”
Napoli è così, devi accettarla per come si mostra, non devi tradirla o sottrarti alla sua nenia di sirena.
È la sua prece. Di preservarla fedelmente nell’intimo, così da afferrare il suo soffio vitale, un frammento di sogno. Per imparare a lasciarsi andare, a vedere oltre l’orizzonte fatto di acqua e di sale, ad amare senza colpe, senza aspettative.
Parthenope è lo scorrere del tempo in un abbraccio, per sentirsi meno soli, meno fragili.
non dimenticare che il tuo volto
mi guarda come il popolo
sorride e urla e canta
come il popoloe questo crea un fuoco
inestinguibilenon ho più dubbi
tornerai diversa con segni
con notizie
con profondità
con franchezzaso che ti amerò senza domande
so che mi amerai senza risposte
(in corsivo una poesia di Mario Benedetti, da Benvenuta, in L’amore, le donne e la vita, nottetempo 2024)