Mario Benedetti (Paso de los Toros, 1920 – Montevideo, 2009) è stato saggista, scrittore e drammaturgo uruguayano. Considerato uno dei massimi narratori e poeti del Novecento, è conosciuto e amato per il suo “sguardo limpido e cristallino, che apre sempre nuovi interrogativi sul senso della vita e della morte”.
Direttore dal 1954 della rivista Marcha, tra le più influenti nel panorama culturale della nazione, poi chiusa dal regime dittatoriale nel 1974, collaboratore della rivista Número (dal 1949), è stato costretto a lasciare l’Uruguay tra il 1973 e il 1985 per motivi politici. Ha conquistato fama internazionale nel 1960 con il romanzo La tregua (tradotto in Italia nel 1983).
Autore fecondo, nelle sue opere analizza le piccole gioie e le miserie della vita quotidiana, le debolezze della classe media, le crisi morali di una generazione che ha vissuto i momenti più difficili della storia del suo paese. Tra le opere in prosa si ricordano i racconti Montevideanos (1961) e El porvenir de mi pasado (2003); i romanzi Gracias por el fuego (1965), La borra del café (1992) e Andamios (1996). Tra le numerose raccolte di poesie Poemas de oficina (1956), Las soledades de Babel (1991), Canciones del que no canta (2006).
Sostiene che
La poesia dice profondità che a volte
la prosa tace.
E in tale convincimento predilige un linguaggio autentico, limpido, popolare, “un ravvicinamento fra lingua parlata e colloquiale e lingua poetica”.
Ma la sua semplicità non è altro che “una delle sue strategie comunicative. La sua schiettezza, la sua immediatezza, la sua logica indiscutibile, la sua etica non sono altro che un’altra delle facciate più evidenti della sua poesia, la più riconoscibile. Ma quando lo rileggiamo attentamente possiamo notare le sue sottigliezze, la delicatezza della sua musica costante, armoniosa, mai forzata, la grazia della sua immaginazione, la potenza del sentimento, il coraggio delle associazioni insolite e la costruzione di immagini originali”.
perché la tua bocca è sangue
e hai freddo
e ti devo amare amore
ti devo amare
anche se questa ferita brucia come due
La silloge L’amore, le donne e la vita raccoglie una sua selezione di poesie d’amore scritte nell’arco di cinquant’anni: alcune sono diventate delle canzoni di grande popolarità, molte restano imprescindibili punti di riferimento per più di una generazione. Capovolgendo il titolo spagnolo di un libro del filosofo Arthur Schopenhauer, El amor, las mujeres y la muerte, il poeta dimostra che l’amore, questa forza dirompente della vita incarnata dalle donne, è l’unica possibilità di far fronte alla morte, il suo correlativo essenziale.
«L’amore è uno degli elementi emblematici della vita. Breve o duraturo, spontaneo o minuziosamente costruito, è sempre un vertice nelle relazioni umane».
In queste pagine Mario Benedetti ci invita a percorrere le tappe della sua vita, il suo sentiero interiore in cui via via prendono corpo ricordi del passato, indizi del sogno, fantasmi amati o temuti; ci porta a immergerci nella solitudine che nutre lo spirito, nella potenza della tenerezza, nella sua mite ironia. Sullo sfondo, l’eco dolorosa dell’esilio vissuto in prima persona.
voglio che mi racconti
il dolore che ti fa mutada parte mia ti offro
l’ultima certezzasei sola
sono solo
ma talvolta
può la solitudine
essere una fiamma
È il segreto di una poesia immediata, che fa dell’abitudine la sua forza propulsiva, alla quale noi amanti della poesia possiamo rivolgerci con fiducia e gratitudine.
Mi costa fatica come non mai
dare un nome ad alberi e finestre
e anche al futuro e al dolore
il campanile è invisibile e muto
ma se si esprimesse
i suoi rintocchi
sarebbero di fantasma malinconicol’angolo perde il suo spigolo affilato
nessuno direbbe che la crudeltà esisteil sangue martire è solo
una pallida macchia di rancore
come cambiano le cose
nella nebbiagli avidi non sono
che poveri sicuri di sé
i sadici sono pieni di ironia
i superbi sono prue
di qualche coraggio altrui
gli umili invece non si vedonoma io so chi è chi
dietro questa coltre d’incertezza
so dov’è l’abisso
so dove non è dio
so dov’è la morte
so dove non sei tula nebbia non è oblio
ma rinvio anticipatospero che l’attesa
non rovini i miei sogni
spero che la nebbia
non arrivi ai miei polmoni
e che tu ragazzina
emerga da essa
come un bel ricordo
che si trasforma in voltoe io sappia infine
che lasci per sempre
il peso di quest’aria maledetta
quando i tuoi occhi incontrano e festeggiano
il mio benvenuto che non conosce sosta