L’intelligenza artificiale (IA) sta radicalmente ridefinendo i confini del lavoro in molti settori, e la pubblica amministrazione (PA) non è immune a questa rivoluzione tecnologica. Con oltre 3,2 milioni di dipendenti pubblici in Italia, l’integrazione di soluzioni basate su IA solleva interrogativi cruciali: quali mansioni saranno automatizzate? Chi rischia di perdere il posto di lavoro? E, soprattutto, come può la PA trasformare una sfida in un’opportunità per migliorare l’efficienza e la qualità dei servizi offerti ai cittadini?
Intelligenza artificiale nella pubblica amministrazione // Un recente studio condotto da FPA, parte del gruppo Digital360, e presentato al Forum PA 2024, ha evidenziato l’impatto crescente dell’IA nel settore pubblico, fornendo una visione dettagliata su quali professioni siano più esposte e sulle potenziali conseguenze di questa evoluzione tecnologica. I dati parlano chiaro: circa 1,8 milioni di lavoratori pubblici italiani vedranno un impatto significativo nelle loro mansioni grazie all’introduzione di strumenti di intelligenza artificiale. Tuttavia, non tutti i cambiamenti sono negativi. Per una larga fetta della forza lavoro, l’IA può rappresentare un’opportunità per migliorare produttività e creatività. Ma per altri, circa il 12% della forza lavoro, il rischio di essere sostituiti dagli algoritmi è concreto, soprattutto per coloro impegnati in attività più routinarie e ripetitive.
L’intelligenza artificiale nella PA: chi è più esposto?
Per comprendere meglio il fenomeno, lo studio ha utilizzato un adattamento del modello AIOE (Artificial Intelligence Occupational Exposure) di Edward Felten, che valuta il grado di esposizione dei diversi profili professionali all’automazione basata su IA. I risultati sono sorprendenti. Circa il 57% dei lavoratori del settore pubblico italiano è altamente esposto all’IA, il che significa che la loro professione subirà un profondo cambiamento o integrazione con l’uso di tecnologie intelligenti. Parliamo di circa 1,8 milioni di lavoratori, principalmente appartenenti a categorie come assistenti amministrativi, tecnici, ricercatori, avvocati e professionisti del settore sanitario.
Un impatto moderato sarà avvertito dal 28% della forza lavoro, mentre il restante 15% vedrà cambiamenti minimi o nulli. È evidente che le professioni più specializzate, soprattutto quelle di leadership, potrebbero beneficiare maggiormente dall’integrazione dell’IA, sfruttando gli strumenti tecnologici per migliorare la gestione e l’efficacia delle loro funzioni. Al contrario, professioni caratterizzate da attività ripetitive e prevedibili, come quelle esecutive e amministrative di basso livello, rischiano di essere automatizzate.
Le professioni a rischio: un’analisi dei numeri
La previsione più preoccupante riguarda il 12% dei lavoratori della PA, pari a circa 218.000 dipendenti, che potrebbe essere completamente sostituito dall’IA. Si tratta di figure che svolgono mansioni routinarie, come operatori amministrativi di basso livello e personale addetto a compiti ripetitivi. Tuttavia, vi è anche un ulteriore 8% di lavoratori che si trova in una sorta di “zona grigia”, in cui l’automazione potrebbe generare sinergie con il lavoro umano o, al contrario, portare a un rischio di sostituzione non ancora completamente prevedibile. Queste figure includono soprattutto professionisti operanti in settori delicati come quello sanitario e diplomatico.
A livello di comparti, lo studio ha rivelato che le funzioni centrali e locali della PA sono particolarmente esposte, con una percentuale di impatto rispettivamente del 96,2% e 93,5%. Anche il settore dell’istruzione e della ricerca, dove il 91,9% del personale potrebbe beneficiare della complementarità tra IA e competenze umane, si trova in prima linea. Tuttavia, il rischio di sostituzione è più alto nelle strutture centrali della PA, dove potrebbe interessare quasi il 47,4% dei dipendenti, mentre nelle funzioni locali l’impatto riguarda circa il 23,8%.
La trasformazione della PA: da sfida a opportunità
Di fronte a questa marea tecnologica, la pubblica amministrazione si trova davanti a un bivio. Come può un’istituzione nota per la sua lentezza burocratica e per la rigidità dei suoi processi adattarsi a un cambiamento così rapido e radicale? La risposta, secondo gli esperti, risiede nella formazione e nella riforma strutturale.
Come ha sottolineato Carlo Mochi Sismondi, Presidente di FPA, “La PA deve necessariamente avviare una revisione dei processi di formazione e delle competenze, puntando su abilità come creatività, adattabilità e pensiero critico”. Le competenze trasversali, spesso considerate “soft skills”, diventeranno fondamentali per i lavoratori della PA del futuro. Questo perché l’IA può gestire attività complesse e ripetitive, ma manca di intuizione umana, empatia e capacità di prendere decisioni strategiche basate su contesti più ampi.
È necessario un cambiamento culturale profondo: abbandonare l’ormai obsoleta logica gerarchica per favorire una maggiore flessibilità e l’introduzione di elementi di innovazione in ogni livello dell’organizzazione pubblica. Come ha spiegato Andrea Rangone, Presidente di Digital360, “L’adozione dell’IA è un processo inarrestabile, ma la chiave per gestirlo con successo sarà nelle competenze e nella capacità di governare l’innovazione”. Questo richiederà anche un miglioramento delle infrastrutture tecnologiche, che devono essere all’altezza della complessità dei nuovi strumenti digitali.
Tre ondate di trasformazione della PA
Non è la prima volta che la pubblica amministrazione si trova ad affrontare una trasformazione di vasta portata. Negli ultimi 15 anni, si sono verificate tre grandi “ondate” di cambiamento che hanno ridefinito il modo di lavorare e l’organizzazione del settore pubblico.
La prima ondata è stata innescata dalla spending review del 2007, che ha imposto una drastica riduzione del personale e tagli significativi agli investimenti nella formazione. Questo ha avuto un impatto duraturo, riducendo la capacità della PA di evolversi e adattarsi ai cambiamenti tecnologici e sociali.
La seconda ondata è arrivata con la pandemia da Covid-19, che ha accelerato i processi di digitalizzazione e ha promosso una maggiore flessibilità lavorativa, come lo smart working, per garantire la continuità dei servizi pubblici anche durante le emergenze. In questo contesto, l’innovazione tecnologica è stata fondamentale per sostenere l’accessibilità ai servizi e migliorare l’efficienza.
Ora siamo di fronte alla terza ondata: l’intelligenza artificiale. Questa rappresenta uno shock esterno senza precedenti, che potrebbe ridefinire il lavoro pubblico nei prossimi decenni. Come ha evidenziato Gianni Dominici, Amministratore Delegato di FPA, “L’IA sta tracciando i confini di un nuovo modo di concepire il lavoro pubblico. Il suo impatto sarà tanto numerico quanto qualitativo, e andrà intensificandosi con i progressi tecnologici”.
Intelligenza artificiale nella pubblica amministrazione
L’integrazione dell’intelligenza artificiale nella pubblica amministrazione è una sfida complessa, ma anche un’opportunità senza precedenti per modernizzare le istituzioni e migliorare la qualità dei servizi offerti ai cittadini. Tuttavia, per sfruttare appieno le potenzialità dell’IA, sarà fondamentale un impegno congiunto da parte di tutti gli attori coinvolti, dal governo ai singoli lavoratori.
La chiave sarà investire nella formazione e nello sviluppo di nuove competenze, puntando non solo sull’aspetto tecnologico, ma anche sulle capacità umane che l’IA non potrà mai replicare. Solo così sarà possibile trasformare questa rivoluzione tecnologica in un vantaggio competitivo per il settore pubblico e garantire un futuro di crescita e innovazione.
Leggi altri articoli a tema Intelligenza Artificiale su Quasimezzogiorno QUI.