Cāera una volta Cristoforo Colombo. Cāera lāammiraglio che cercava una nuova via per le Indie orientali, finendo per imbattersi in quelle occidentali, a cui va il merito di aver scoperto lāAmerica e cāera il governatore che per conto degli spagnoli avvioā schiavismo, mescolanza razziale e mattanza, fino allāestinzione, della popolazione degli ā Indios Tainosā, ai quali si deve lāorigine di termini quali patata, canoa euragano, ad esempio. Scegliete pure il profilo che piuā vi aggrada di questo personaggio genovese, non sta certo a noi parlare di storia…semmai ricordarci che non sono mai i vinti a scriverla!
Siamo dunque nella terra in cui il āmeltinā potā eā esploso e dove le radici dellāeuropea latinitaā hanno attecchito, in modo distinto, per poi diramarsi in tutto il continente americano anche coi flussi colonizzatori successivi. Azzurro come la gemma del “Larimar”, che solo qui si trova, eā il mare, di un verde vivace sono le sinuose palme e di spettacolari variazioni tra il rosso fuoco e lāarancio si veste il tramonto, di giallo oro e ambra persino, i cui giacimenti, metafore a parte, non mancano.
Peccato che siano societaā di nota nazionalitaā a possedere i diritti di sfruttameto e non il governo sovrano, come sovente accade in Centro e Sud America.
Siamo in quella che giĆ nel ā500 era conosciuta come āisla HispaƱiolaā, siamo sullāisola di Santo Domingo, o meglio, su di una parte di essa… la Repubblica dominicana. Eā il paese dove si coltiva uno tra i migliori tabacchi ma il 90% della popolazione, per fortuna, non fuma; qui troviamo la varietaā migliore di canna da zucchero per quanto la maggior parte dei rum non sia affatto da primato o meglio non quella destinata al consumo nazionale; infatti eā una terra dove non si finisce mai di stupirsi e convivere con contraddizioni e paradossi socio-culturali eā cosa quotidiana: la civile presenza di fonti pubbliche per lāacqua potabile eā una componente democratica non ancora istituita, nonostante le risorse idriche abbondino, come quelle del Rio Comate a Bayaguana, per fortuna la natura provvede a elargire tutti i tipi di frutta tropicale; ci si potrebbe scrivere unāintera enciclopedia su questo miracolo di varietaā, colori e sapori, sulle macedonie, sulle ābatidasā (squisite quelle fatte con papaja, qui chiamata ālechozaā, e con lo āzapoteā dal gusto desueto ma buonissimo) e sui succhi di ananas, passion fruit o āchinolaā, che dir si voglia, e mango…tanto amati dal turista e fonte di idratazione e di nutrienti per il dominicano, la cui colazione include, oltre alla frutta, Ā il pane accompagnato col āchocolate de aguaā con lāaroma poderoso di spezie quali cannella e zenzero, oppure le āenpanadasā ossia dei sofficini fritti fatti di acqua e farina ripieni di formaggio, carne o pollo.
Ma lāacqua in casa comunque la si deve conseguire coi secchi a forza di braccia e gambe. Questa almeno la realtaā per chi vive nei centri rurali, nelle cittadine e nelle periferie dalle case fatiscenti e variopinte, dai tetti bassi fatti con le lamiere. Case cosiā basse che sembrano guardare sottomesse e piegate agli allegri ābeach-villagesā, ai grandi centri commerciali, ai sontuosi hotels e alle austere bancheā¦ austere fuori e paradisi fiscali dentro. Quasi arroganti nella loro opulenza.
Barrios e cumuli di spazzatura si contrappongono a spiagge immacolate e paradisi artificiali. Infatti nella parte est del paese sono stati sradicati interi ettari di foresta tropicale in vicinanza del mare e questo per la costruzione dei santuari dello sfarzo: isole dentro lāisola Cap Cana e Punta Cana rappresentano le Dubai dei Caraibi e, assieme a Cabeza de toro, Las Terrenas e Casa de Campo, sono oggetto ambito di investimento immobiliare in quanto residenciales esclusivi comprendenti tutti i servizi immaginabili e non, tra campi da golf circondati da veri e propri giardini botanici e giochi dāacqua, maneggi, macro piscine con idromassaggio, posti barca e quanto si possa esigere acquistando una ācasetta al mareā a partire dal milione di dollari.
Grazie al cielo esistono anche i paradisi naturali…tutta la parte interna della Repubblica dominicana merita lunghe escursioni per la generosa presenza di fiumi e torrenti ancora inviolati, di vallate e monti come quelli appartenenti alla āCordillera Centralā; oasi naturalistiche sono le lagune di Oviedo, Redonda e Limon, per non parlare del lago Enriquillo (dal nome del grande ācaciqueā indios Enriquillo), il piuā grande delle Antille, situato nel sud del paese, la parte non invasa dal turismo. Ed eā proprio al largo di una localitaā del sud, Pedernales, che i capodogli hanno eletto la loro meta per il corteggiamento. Perle del mar dei Caraibi e aree protette del paese sono le isole Saona, Catalina e beata…noleggiare una barca a vela, risalire il vento che sovente soffia da sud per raggiungerle eā unāemozione indescrivibile.
Il comparto alberghiero e della ristorazione, grazie al clima favorevole, accoglie turisti tutto lāanno, peccato che i dominicani, la forza lavoro del settore, non beneficino di cioā, percepiscano una paga da terzo mondo (si pensi che un cameriere guadagna in media 8000 pesos al mese, lāequivalente di 160 euro ca.), debbano affrontare un costo della vita europeo e, come se non bastasse, un sistema sanitario basato sul poco encomiabile modello statunitense. Intanto a Santo Domingo, la capitale dominicana e di quella che fu la patria dei pirati, mentre automoblisti guidano a digiuno di ogni sorta di regole e inconsapevolmente āpirati della stradaā a loro volta e i giocatori di domino tracannano āmamaguamaā guardando una partita di baseball (qui chiamato āpelotaā e sport nazionale…i giocatorio dominicani sono ambitissimi negli Usa), nuovi ristoranti aprono con la velocitaā e il ritmo di bachata e merengue.
In alcune aree di questa metropoli, che nel 2002 giaā contava 8,5 milioni di abitanti, si contana circa 100 ristoranti per chilometro quadrato, pochissimi di proprietari dominicani, a parte i cosidetti ācomedoresā, locali modesti con cibo economico e da asporto che propinano birra e rum nazionali. Siamo quindi nellāordine dei āThai-foodā, trattorie cinesi e āpica polloā (dove si serve pollo fritto o allo spiedo con accompagnamento di patate e ātostonesā…platani fritti insomma).
Dunque sono gli europei, molti dei quali spagnoli e italiani, a contendersi la piazza della ristorazione di alta categoria, almeno lo sono per design e clientela, seguono poi i sudamericani e ristoratori di Medio ed Estremo Oriente. Potrebbe sembrare che la Repubblica dominicana non abbia una sua identitaā o tradizione culinaria quindi. E invece non eā cosiā. Dobbiamo andare piuā a fondo, dobbiamo confonderci tra la gente e cercare di capire la loro identitaā, percheā eā nellāidentitaā collettiva che si trova la chiave della cucina dominicana ed eā attraverso la cucina che, contemporaneamente, si apprende la cultura di un popolo. Questa cultura, la cultura ācriollaā, come abbiamo anzidetto, ha inizio con la venuta di Colombo e degli spagnoli. Tutto comincioā a fondersi a partire da allora. Lāavamposto da cui tutto ebbe origine scruta tuttāoggi il fiume Ozama: la cittaā coloniale.
La prima via del continente americano, ācalle Las Damasā. La prima cattedrale dāAmerica. Il primo monastero e il primo ospedale di America costruito da monaci francescani e operai italiani. La prima universitaā di America. Tutto a Santo Domingo eā stato costruito per la prima volta, prima che in qualsiasi altro luogo del nuovo continente. E tutto allāinterno delle vecchie mura della cittadellaĀ camminando per Ā āel Condeā parla anche della storia piuā recente di questo paese afflitto da diverse dittature. Le basi della cucina creola nascevano proprio mentre gli spagnoli gettavano le fondamenta della loro roccaforte nel nuovo mondo e a causa della promiscuitaā forzata tra schiavi provenienti dallāafrica con le donne tainos e gli spagnoli stessi.
Fuori dalla cittaā coloniale lungo lāāavenida Duarteā e al āmercado Modeloā la folla esplode in sciami brulicanti, brusio e le grida dei mercanti in tutta la loro omogenea diversitaā sembrano reclamare una ādominicanitaā lontana dagli occhi del turista e tuttāora bistrattata. La cucina creola non eā solo una derivazione della cucina di sussistenza proveniente dalla tradizione delle tribuā africane, non eā solo platano, riso, fagioli, Ʊame e yucca. Qui in Repubblica dominicana ci sono le reminiscenze di ricette del vecchio continente ormai dimenticate, importate āillo temporeā dagli stessi marinai spagnoli e qui rivisitate attraverso quasi 6 secoli.
Se eā vero che la ābandera dominicanaā, piatto base formato da verdure crude, riso bianco, fagioli e carne, possibilmente con una fetta di avocado, eā una pietanza, assieme al āmoro de abichuelasā o āde guandulesā, estremamente povero, qui possiamo altrettanto ritrovare una variante della āpaellaā spagnola: il ālocrioā, fatto di carne principalmente di pollo con riso allo zafferano. Infine il piatto piuā rappresentativo eā il āsancochoā: letteralmente significa stufato e consiste in uno spezzatino di diversi tipi di carne preparato assieme al platano, la zucca e a tuberi come la yucca, o tapyoca, la patata, la yauntia blanca e la batata, una variante gigante della patata. Per quanto isolani, i domenicani amano molto la cucina di terra e raramente il pescato, peroā non disdegnano il āmeroā, il āchilloā fritto, rispettivamente simili alla cernia e al dentice, e il baccalĆ affumicato e cotto in umido col riso e cocco grattugiato; inoltre sono ghiottissimi del ālambiāā, ossia una lumaca marina gigante molto versatile da cucinare, e della polpa di granchio.
Una cucina che sapientemente dosa spezie, necessitaā di vita quotidiana e alimenti cosidetti āpoveriā ma degni di tutto rispetto. Come dimenticare il ādulce de lecheā, una massa di dolce al latte morbida e granulosa da un gusto esotico e che ricorda vagamente la caramella mou, oppure lā āarepa dulce de maisā, una sorta di pan di Spagna fatto con maizena, latte, burro, qualche stecca di cannella e uva passa.
Un peccato che i turisti, i turisti del vecchio continente specialmente, snobbino spesso la vera cucina creola per godersi solo crostacei quali granchi e arogoste tralasciando di ricordare che lāalimentazione di noi europei eā cambiata, se non migliorata addirittura, proprio grazie ai prodotti autoctoni della terra dominicana, gli stessi prodotti che giungevano secoli fa da queste terre e che oggi sono una componente irrinunciabile persino per la nostra amata cucina italiana.