Il cinema, sin dalle origini, ha avuto un impatto profondo sulla società, assumendo un valore politico e culturale straordinario. Con l’articolo di oggi cercheremo di scoprire come la censura ha influenzato la produzione cinematografica, modificando trame, scene e, in alcuni casi, impedendo la distribuzione di opere al grande pubblico.
Vi sveleremo storie di film proibiti, di battaglie legali e di creatività repressa, rivelando un aspetto del cinema che raramente emerge.
Mettetevi comodi che inizia il nostro viaggio.
La storia della Censura in Italia
Nel 1913, l’Italia promulgò la prima legge ufficiale che vietava la rappresentazione di spettacoli contrari alla decenza, istituendo l’Ufficio Centrale di Revisione. Tuttavia, già nel 1910, era stato introdotto l’obbligo di una autorizzazione prefettizia per la proiezione pubblica di film. Con l’avvento del Fascismo i controlli si intensificarono, sotto il Ministero della Cultura Popolare (MinCulPop), e nel dopoguerra la Democrazia Cristiana guidata da Giulio Andreotti, pur essendo un partito moderato, impose severe restrizioni sull’arte e sul cinema. L’obiettivo era non mostrare al mondo le fragilità dell’Italia del secondo dopoguerra e soprattutto nascondere quella vena sensuale ed erotica detestata dai “perbenisti”.
Questa situazione perdurò fino al 5 aprile 2021, quando il ministro della Cultura, Dario Franceschini, firmò un decreto che aboliva la censura cinematografica. Questo percorso verso la libertà artistica ha richiesto decenni di lotte e sacrifici.
Ultimo tango a Parigi: caso da studiare
Il caso più emblematico di censura è rappresentato da “Ultimo tango a Parigi”, film del 1972 diretto da Bernardo Bertolucci. La pellicola, di per sé controversa per trama ed immagini, fu particolarmente criticata per una scena specifica: la “scena del burro”, in cui Marlon Brando, allora 48enne, sodomizza la 19enne Maria Schneider usando del burro come lubrificante. Questo episodio scatenò un tale scandalo che il film fu ritirato dalle sale italiane due settimane dopo la sua distribuzione.
Definito come “il più potente film erotico mai realizzato”, il film in Italia subì diversi procedimenti giudiziari e il 29 gennaio 1976 fu condannato alla distruzione fisica di tutte le copie. Solo nel 1987 tornò a circolare, ottenendo l’anno successivo la sua prima proiezione televisiva grazie a Filmest.
Pasolini e Censura, connubio indissolubile
Pier Paolo Pasolini (1922-1975) è stato una delle figure culturali più influenti del XX secolo in Italia. Scrittore, poeta, attore e regista, l’intellettuale bolognese si è distinto per la sua critica radicale alla borghesia e alla società consumistica. La sua produzione cinematografica, per via del suo animo acceso e provocatorio, ha spesso incontrato ostacoli giudiziari.
Il primo intervento censorio riguardò il suo debutto cinematografico, “Accattone” (1961), che, dopo la presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia, suscitò forti polemiche. Il Ministro del Turismo e dello Spettacolo ne vietò la visione ai minori di 18 anni. Anche il suo secondo film, “Mamma Roma” (1962), subì censure: il colonnello Giulio Fabi segnalò la pellicola alla Procura della Repubblica di Venezia, che ne vietò la visione ai minori di 14 anni e impose tagli ad alcuni dialoghi. Nel 1963, “La Ricotta”, parte del film a episodi “Ro.Go.Pa.G.”, venne sequestrato il giorno prima dell’uscita, e Pasolini fu condannato a quattro mesi di reclusione per vilipendio alla religione. La pellicola, dopo numerose modifiche, è stata restaurata nella versione originale dalla Cineteca Nazionale nel 2023.
La censura colpì nuovamente Pasolini nel 1968 con “Teorema”, accusato di oscenità per le scene di amplessi carnali e rapporti omosessuali tra un ospite, identificato da molti come una figura cristologica, e un membro della famiglia che lo ospitava. Successivamente, pellicole come “Decameron” (1971) e “I racconti di Canterbury” (1972) furono anch’esse oggetto di interventi censorii. Il colpo finale arrivò con “Salò o le 120 giornate di Sodoma”: presentato a Parigi tre settimane dopo la morte del regista, il film fu proiettato nelle sale italiane solo nel 1976, provocando molte proteste. Il produttore, Alberto Grimaldi, fu condannato a due mesi di prigione, e il film venne ritirato fino al 1978.
Costantemente ostacolato, Pasolini criticò duramente la censura, considerandola uno strumento di influenza ideologica sulle masse da parte della politica italiana.
Fellini sotto la lente della censura
Federico Fellini, unanimemente riconosciuto come uno dei più grandi registi della storia del cinema, non fu immune dalla censura. Per il regista riminese il primo incontro con la censura avvenne nel 1957 con l’uscita de “Le Notti di Cabiria”, film incentrato sulla vita di una prostituta, Cabiria, interpretata dalla moglie del regista Giulietta Masina. Fellini stesso raccontò che, inizialmente, la censura proibì il film e che per salvarlo dovette recarsi da un influente cardinale di Genova, al quale mostrò la pellicola. Dopo la visione, il cardinale autorizzò la distribuzione del film a condizione che fosse tagliata la sequenza dell’uomo col sacco, scena poi recuperata solo nel 1998, quando il film fu restaurato e ripresentato nella sua versione integrale.
L’intervento censorio più significativo si verificò con “La Dolce Vita” (1960), il capolavoro di Fellini con Marcello Mastroianni e Anita Ekberg. Presentato al cinema Capitol di Milano, il film fu accolto da numerose critiche, in particolare dalla stampa cattolica e dalla Democrazia Cristiana. Nonostante il parere positivo di Giuseppe Siri (presidente dei vescovi italiani), padre Albino Galletto, direttore del Centro Cattolico Cinematografico, ne vietò la visione a tutti i fedeli. Tuttavia, le polemiche attorno al film aumentarono la curiosità del pubblico, che affollò le sale per vederlo. “La Dolce Vita” fu comunque vietato ai minori di 16 anni a causa di scene di nudo e presunte mancanze di rispetto verso la religione.
Liberi di esprimersi
Con questo articolo, abbiamo voluto invitare i nostri lettori a riflettere sull’importanza della libertà di espressione, un diritto garantito costituzionalmente, ma che spesso incontra ostacoli nella sua applicazione.
È essenziale interrogarsi sui ruoli dei moralisti nella società contemporanea e considerare come queste figure possano influenzare la creatività e l’espressione artistica. Guardando al futuro, dobbiamo sperare in un contesto culturale in cui la libertà di espressione sia realmente rispettata e protetta, permettendo così alle opere d’arte di svilupparsi senza timore di censura o repressione.
L’auspicio è che le future generazioni possano godere di un ambiente dove le idee possano essere liberamente esplorate e discusse, arricchendo il nostro patrimonio culturale e promuovendo una società più aperta e inclusiva.
Articolo scritto con la collaborazione di Giovanni Calvo, studente di Cinema e Media presso l’Università di Torino.