Leggere libri per sensibilizzare e sensibilizzarsi sul tema della violenza di genere è un modo efficace per affrontarlo e contrastarlo.
Poiché il fenomeno è di scottante attualità, è fondamentale manifestare, anche mediante la lettura di testi, una maggiore e necessaria consapevolezza sociale per abbattere pregiudizi e convinzioni stereotipate.
In merito all’argomento, bisogna saper usare le espressioni. Perché le definizioni hanno un peso.
E riflettendo su questa considerazione, mi è tornata alla mente la lettura del romanzo «Trofeo» di Emanuela Cocco – edito da zona42 –, in cui l’autrice s’interroga sulla natura delle cose e sul senso delle parole.
In meno di cento pagine, la scrittrice ci dona un insolito punto di vista per penetrare nella mente di un assassino seriale, che uccide donne per soddisfare istinti sessuali perversi, nel contesto di aggressioni ritualizzate.
Le azioni delittuose vengono rievocate attraverso gli occhi degli oggetti appartenuti alle vittime. Fermagli, ciocche di capelli, gonne, sonaglini colorati, collane, anelli. Sono i trofei, le cose “che mantengono la traccia delle persone a cui sono appartenuti. È per questo che lui li raccoglie”. Sono i feticci che l’omicida conserva in un cassetto per avere un ricordo delle sue prede.
Ciò che mi ha maggiormente colpito di questa breve storia è l’intensa capacità introspettiva della narratrice di rappresentare gli accadimenti. Ogni singolo oggetto riacquista forma e vita nel momento in cui rammenta stralci della quotidianità di colei che non c’è più.
“Non so come sia potuto accadere. Ti piaceva illuderti. La tua voce mi commuove e mi spaventa e mi sfinisce. Dice le cose che desidera, le dice come implorando mentre sa che non sono vere. Per farle diventare vere deve salire di tono verso vette altissime, acuti impareggiabili che però la fanno steccare. Per essere vera, questa voce, ha bisogno di uno sforzo di immaginazione enorme”.
Lo stile è chirurgico, ma c’è una tale grazia nell’amalgamare trama, pathos e personaggi, che non oppongo resistenza alla malia di una scrittura che inchioda, la cosiddetta prosa poetica di certi amori oscuri.
“Diremo com’è andata. Avrete riposo. Vi troveranno, sapranno il nome e la storia che vi appartiene e che noi conosciamo già. […] Ecco, mi portano via, ci siamo. Prima però devo dirti che ho visto Occhi Verdi. Ci siamo sfiorate con le parole e ci è caduta addosso una pioggia lieve di fiori. […] Stiamo tornando a casa. […] Viaggiamo attraverso i bordi sfilacciati di una ferita che non ci procura più alcun dolore”.
Un volumetto da sfogliare, per non lasciare senza voce le donne vittime di ogni tipo di violenza.