E’ uno dei casi più misteriosi della cronaca nera italiana degli ultimi cinquant’anni: Liliana Resinovich, scomparsa a Trieste il 14 dicembre 2021 e ritrovata morta nella stessa città friulana circa venti giorni dopo, il 5 gennaio 2022.
La cronaca italiana è purtroppo piena di casi nei quali è rimasto il drammatico dubbio ai familiari delle vittime e, talvolta, anche agli inquirenti sulle ipotesi alternative di omicidio o suicidio, ma la vicenda che riguarda la sessantatreenne triestina ha dei contorni assolutamente enigmatici.
Per comprenderli occorre innanzitutto partire dagli esiti della prima autopsia (una seconda è attualmente in corso) dalla quale è emerso che la Resinovich sarebbe morta in un range temporale di 60 ore anteriori al ritrovamento del corpo, avvenuto, come detto, circa venti giorni dopo la sua scomparsa.
Ma la vittima è stata ritrovata con lo stesso abbigliamento che aveva indosso il giorno della scomparsa, compresa la biancheria intima, che sembra fosse stata indossata pulita da poco tempo. Inoltre nello stomaco della donna sono stati ritrovati gli stessi alimenti che aveva consumato a colazione il giorno della scomparsa.
Per quanto si possa ritenere che in quei venti giorni la Resinovich abbia alloggiato in qualche immobile, ella avrebbe avuto necessità di uscire da detto immobile per procurarsi il necessario per vivere. Ma nessuno l’ha mai vista, nonostante in quei venti giorni il volto della donna fosse noto a tanti perché la sua scomparsa era stata tanto pubblicizzata dai media.
Bisogna rimarcare anche che il luogo in cui è stata ritrovato il corpo della donna e la sua abitazione distano alcune centinaia di metri, quindi riesce difficile immaginare che la Resinovich si sia allontanata di molto, sia rimasta nascosta per venti giorni per poi andare a togliersi la vita in un luogo poco distante da casa sua. Intanto questa apparirebbe l’unica (plausibile?) ricostruzione fatta dagli inquirenti, soprattutto a seguito del predetto esito della prima autopsia che daterebbe la morte solo un paio di giorni prima del ritrovamento.
Negli ultimi mesi però il Giudice per le Indagini Preliminari ha però rigettato la richiesta di archiviazione della Procura, ordinando altre indagini tra le quali una nuova autopsia. Ma sembra difficile che il nuovo esame del corpo della donna possa portare a datare la morte nel giorno della scomparsa perché è estremamente improbabile che il medico-legale incaricato della prima autopsia possa aver commesso un errore così marchiano, ovvero sbagliare di circa venti giorni l’indicazione della data del decesso.
Dai punti indicati dal GIP in merito alle nuove indagini si evince chiaramente il dubbio – che hanno anche i familiari della vittima e buona parte dell’opinione pubblica – che la Resinovich sia morta suicida ma che in realtà sia deceduta per mano di terzi o, ancora, per un malore a seguito del quale non è stato prestato soccorso e si sia simulato poi un suicidio. Infatti l’arresto cardiaco con il quale è morta la povera donna non esclude nemmeno tale ipotesi.
Si può comprendere che, qualsiasi sia stata la fine che si può provare ad immaginare della triestina, resterebbero sempre delle incongruenze, a partire dall’anomalo modo di togliersi la vita – nel caso sia stato effettivamente così – perché la donna è stata ritrovata con due sacchi ad avvolgerle il corpo, uno le ricopriva la testa (chiuso con un cordino), l’altro le ricopriva le gambe.
Bisogna aggiungere che, sebbene il volto presentasse un paio di edemi, si esclude che tali segni possano averle cagionato la morte. Ma allo stesso tempo appare molto strano che la donna possa essersi tolta la vita in una modalità così curiosa e dopo essere scomparsa per venti giorni nel centro di Trieste senza che nessuno l’abbia mai vista. Tra l’altro, dalla verifica del cellulare della donna non si è trovato nulla che possa far pensare ad un terzo uomo (la donna aveva un marito ed una relazione con altro uomo, i quali però hanno alibi di ferro) o comunque ad una terza persona che abbia potuto aiutarla durante il periodo della scomparsa.