Il successo di C’è Ancora Domani non basta ad assolvere il cinema italiano dai suoi peccati, specie nei confronti delle registe donne: a riprova di ciò c’è l’imperdonabile silenzio che circonda l’ultimo, splendido film di Alice Rohrwacher.
Nessuna, come Paola Cortellesi, era riuscita a smuovere le acque del cinema italiano in termini di voce restituita a quelle registe donne che, conti alla mano, non riuscivano ad ottenere la giusta considerazione da pubblico e critica dai tempi, forse, della compianta Lina Wertmuller: C’è Ancora Domani è un film bello, paradossalmente e intelligentemente comico come solo la sua autrice e protagonista sa essere, necessario direbbe qualcuno utilizzando un termine criminalmente abusato, ma forse non capace (non per sue mancanze, s’intende) di dare il via a quella redenzione della nostra industria cinematografica di cui alcuni millantano (per malafede o cecità ) di vedere già i segni.
Il clamoroso successo al botteghino di C’è Ancora Domani fa infatti da contraltare ad un altrettanto lampante quanto immeritato insuccesso, quello de La Chimera di Alice Rohrwacher, che a differenza del film con Emanuela Fanelli e Valerio Mastandrea viene penalizzato da una distribuzione a dir poco punitiva, per non dire inesistente: basti pensare che il numero di sale in cui è stato inserito in programmazione è stato dimezzato tra la prima e la seconda settimana, passando da 100 a 50 in un batter d’occhio. Le colpe degli esercenti, certo, sono relative: non si può puntare il dito contro i gestori di attività già in forte difficoltà dopo gli anni del COVID se questi tendono a preferire incassi sicuri rispetto a un film partito in sordina, ma dove sta allora il problema?
L’impressione è che l’Italia abbia un problema con le registe donne, che riescono ad ottenere le luci della ribalta solo quando cavalcano un tema al quale un Paese intero è finalmente e giustamente sensibile come quello della violenza domestica e della cultura del patriarcato: una cattiva abitudine che coinvolge sì gli spettatori “occasionali”, da sempre restii a recarsi in sala per opere di nicchia per natura, ma soprattutto le distribuzioni e i media, incapaci di spingere a dovere un nome, come quello di Rohrwacher, che da anni viene applaudito in ogni dove al di là delle Alpi (a Cannes la regista di Lazzaro Felice è un’istituzione) e al quale non manca certo il potenziale per essere messo alla pari, sul piano mediatico, di colleghi uomini che pur non facendo cinema per le masse riescono sempre e comunque a portare a casa il risultato (pensiamo, tanto per pescare due nomi, a Nanni Moretti o Ferzan Ozpetek).
La conclusione è che l’Italia ha un problema che non andrebbe ignorato se, come sembra, una regista di enorme talento non può sperare di trovare lo spazio che meriterebbe a meno che non decida di limitarsi al solo spazio che secondo il pubblico, i media e la distribuzione le è consentito, ovvero quello della denuncia (sacrosanta) della condizione femminile.
A La Chimera non sono bastate le ottime recensioni ricevute all’estero, né è bastata la presenza di una star internazionale come Josh O’Connor (il giovane Carlo di The Crown, per intenderci): la speranza è che possa bastare il battage social messo su da Rohrwacher e O’Connor stessi, che tramite un video diventato virale hanno invitato i potenziali spettatori a tartassare le sale locali perché mettano il film in programmazione. Sarà l’inizio di un cambiamento? Non possiamo far altro che sperarlo.