Prosegue il nostro viaggio nel mistero della morte del Duce. Dopo aver esaminato nell’articolo di ieri (Chi uccise Mussolini? Un mistero che dura da 80 anni) pubblicato su questa testata le prime ricostruzioni dei fatti di Dongo, oggi esploriamo nuove ipotesi e testimonianze, tra presunti giustizieri, partigiani “scomodi” e oscure trame internazionali. Un racconto appassionante che continua ad avvolgere di enigmi uno dei momenti più controversi della storia italiana.
Ma veniamo alle altre ipotesi formulate sul “giustiziere” di Bonzanigo e sui suoi compagni.
Come abbiamo visto, la più nota è quella che lo identifica in Luigi Longo, il numero due del Pci, che sarebbe partito da Milano non appena conosciuta l’esatta locazione del Duce, per procedere personalmente alla sua esecuzione.
La descrizione più minuziosa della fine di Mussolini e della Petacci ad opera di Longo è fatta da Urbano Lazzaro nel suo libro Dongo, mezzo secolo di menzogne.
Lazzaro, il partigiano “Bill”, l’uomo che aveva catturato il Duce nella colonna tedesca, non fu presente all’uccisione di Mussolini e della sua amante, ma afferma di poter ricostruire nel dettaglio la scena grazie alle testimonianze che gli ex “compagni” non gli hanno potuto negare.
Va peraltro riconosciuto allo storico Franco Bandini il merito di avere per primo individuato in Longo il giustiziere, fin dal 1978, anno in cui uscì il suo Vita e morte segreta di Mussolini.
Longo non si pronunciò mai sull’argomento. Tacque, per sempre, fino alla morte.
Ma tutto questo è sufficiente per affermare che la ricostruzione fatta da “Bill” e, prima, da Bandini, rispecchia la realtà? Difficile, difficilissimo rispondere.
Un’altra ipotesi, forse più suggestiva, su chi sia stato il giustiziere è stata avanzata da Alessandro Zanella nel suo libro L’ora di Dongo, fondamentale nel ricostruire minuto per minuto i movimenti di Mussolini e del suo seguito a partire dalla fuga da Milano del 25 aprile 1945.
Ad uccidere Mussolini e la Petacci sarebbe stato quello stesso “capitano Neri” che li aveva nascosti in casa dei suoi amici De Maria, e li avrebbe uccisi per “rifarsi una verginità” con il Pci, che lo riteneva un traditore.
Tesi apparentemente logica.
Ma il “colpo di testa” di “Neri” fu davvero considerato dal Pci talmente grave da dover essere punito con la pena capitale, cioè con la soppressione dello stesso “Neri” (e della sua compagna, la partigiana “Gianna”)?
O la “colpa” di “Neri” e di “Gianna” fu di ben diversa natura, trattandosi di due partigiani “scomodi”?
E passiamo all’ultima, e in verità la più sensazionale delle versioni: quella di Bruno Giovanni Lonati, ex partigiano, comandante di brigate garibaldine.
Nel suo libro Mussolini e Claretta: la verità, pubblicato nel 1994, Lonati si propose come il giustiziere del Duce, su disposizioni ricevute da un agente segreto britannico, il misterioso “capitano John”.
Quest’ultimo, a sua volta, avrebbe personalmente ucciso la Petacci.
L’ordine sarebbe partito direttamente da Winston Churchill, sia per rientrare in possesso del famoso carteggio, sia per tappare la bocca alla coppia che, interrogata dagli americani, avrebbe di certo spifferato tutti gli accordi (in quel momento assolutamente inconfessabili) intercorsi tra il primo ministro britannico e il Duce, per cercare di volgere Hitler contro la Russia di Stalin.
Va detto che Bruno Lonati non ha mai fornito alcuna prova di quanto scritto.
Non rivelò neppure il cognome del “capitano John”.
In sintesi, cosa scrive Bruno Lonati?
Nelle prime ore del pomeriggio del 27 aprile 1945, mentre sta interrogando alcuni fascisti arrestati, arriva il “capitano John”.
Lonati lo conosce da oltre un mese: è un capitano dell’esercito inglese, inquadrato nei servizi segreti, paracadutato al Nord ma subito passato in Svizzera, dove ha creato una rete di collaboratori e informatori sparsi in tutta la Lombardia.
Tra i due c’è una certa confidenza: hanno condiviso l’alloggio per qualche settimana in una pensione della periferia di Milano.
John è di origini italiane: emigrazione ai primi del Novecento, piccolo laboratorio di sartoria a Londra, poi una fabbrica di abbigliamento maschile alla quale si dedicano i fratelli, mentre lui ha scelto la carriera militare.
John, senza tanti preamboli, chiede a Lonati di seguirlo e di portare con sé due uomini fidati.
C’è da compiere una delicata missione: prendere in consegna Mussolini, che è stato catturato sul Lago di Como.
Lonati si fida ciecamente di John e aderisce alla sua richiesta.
Chiama “Bruno” e “Gino”, che da tempo fanno parte della sua brigata.
A questi due aggiunge un terzo partigiano, giovanissimo e noto per il suo coraggio: si chiama “Lino”.
Sequestrano una Fiat 1100 ad un medico e si dirigono verso il lago.
Pernottano in una villa di Brunate, sopra Como.
Pochi sul lago sapevano cosa quella villa nascondesse: era la base delle Special Forces inglesi, la più importante del Nord Italia.
Lì incontrano “Franco”, uno dell’organizzazione che fornisce le necessarie indicazioni.
L’indomani mattina, 28 aprile, il commando parte per Bonzanigo, casa De Maria, dove Mussolini e la Petacci sono stati portati nella notte da Luigi Canali, il “capitano Neri”.
Arrivati ad Argegno, a un posto di blocco di partigiani improvvisati che non li riconoscono, si scatena una sparatoria.
John non esita a scaricare il mitra sui malcapitati, che rispondono al fuoco.
“Lino” rimane ucciso.
La macchina, guidata da “Gino” e crivellata di colpi, prosegue.
Giunti a casa De Maria, Lonati e i suoi uomini disarmano, legano e imbavagliano i tre partigiani messi lì dal “Neri” a fare la guardia al Duce.
Finalmente, John rivela a Lonati e ai suoi uomini lo scopo della missione: impadronirsi dei documenti segreti di Mussolini prima che lo facciano i comunisti per conto di Stalin, ed eliminare il Duce e la sua amante.
Ma il carteggio non c’è.
Mussolini dice che glielo hanno sequestrato a Dongo.
John bestemmia.
Lo recupererà dopo, lui o altri della Special Force.
Alle 11 del mattino Lonati spara su Mussolini, John sulla Petacci: la donna sa tutto di Mussolini, conosce il contenuto del carteggio.
I due cadaveri vengono nascosti al piano terra di casa De Maria, dove, nel pomeriggio, il “colonnello Valerio” li troverà e li fucilerà di nuovo (forse) davanti al cancello di villa Belmonte.
Il racconto di Lonati può essere verosimile, ma purtroppo non può essere provato.
Può darsi che la Special Force abbia potuto contare, per il compimento della propria missione (recupero dei carteggi ed eliminazione del Duce e della Petacci), su una vasta rete di collaboratori reclutata tra partigiani italiani, piazzati in posti chiave.
Tra questi, ad esempio, potevano esserci il “capitano Neri” (Luigi Canali) e la sua amante, la partigiana “Gianna” (Giuseppina Tuissi), entrambi comunisti eppure assassinati dai comunisti pochi giorni dopo i fatti di Dongo.
Perché?
Forse perché, invece di eseguire gli ordini del partito, e quindi di Mosca, avevano eseguito quelli della Special Force?
Oppure perché erano a conoscenza di segreti inconfessabili sulla vicenda dell’“Oro di Dongo”?
Molti anni fa, durante una pausa in un congresso medico tenuto da quelle parti, un collega mi rivelò che c’era ancora gente che “sapeva” ma aveva paura di parlare.
Sono trascorsi ottant’anni dai fatti che ho provato, molto sommariamente, a trattare.
Pare che le versioni sulla morte del Duce siano tra le venti e le trenta, ma l’enigma su come quell’esecuzione avvenne pare destinato a restare senza soluzione.
E si tratta di uno dei più grandi misteri della Storia.
Questi misteri, per me, resteranno per sempre legati ai luoghi che hanno visto nascere, e quasi partorito, come da un grembo fantastico, questo “giallo storico”.
Mi è capitato, anni fa, di percorrere quelle strade, visitare quei luoghi.
E inevitabilmente il pensiero si è rivolto a quei lontani avvenimenti che hanno acceso interminabili e accanite dispute.
Lo sguardo si tuffava nelle acque del lago, quasi a voler interrogare, senza alcuna speranza di essere ascoltato, il testimone muto che nei suoi fondali inaccessibili nasconde segreti ignoti a noi miseri umani.