Uxoricidio e suicidio ad Agropoli. Vincenzo Carnicelli, 63 anni, a seguito di un litigio tra le mura domestiche, ha colpito ripetutamente con arma da taglio la moglie Annalisa Rizzo, di vent’anni più giovane di lui, cagionandone la morte e togliendosi poi la vita.
L’omicidio/suicidio si è svolto mentre la figlia, quasi quattordicenne, dormiva. Pare che più di un’arma da taglio insanguinata sia stata ritrovata dai Carabinieri della Compagnia di Agropoli sul luogo del delitto, facendo ritenere che l’uomo abbia utilizzato più di un’arma oppure che tra la coppia vi sia stata una colluttazione prima che il Carnicelli infligesse i colpi mortali. Successivamente nell’abitazione teatro della tragedia si sono recati anche i RIS per i rilievi scientifici.
L’uomo fino a qualche tempo fa esercitava l’attività di pizzaiolo in Germania mentre la donna era impiegata in banca. La coppia aveva di recente deciso di separarsi in maniera formalmente consensuale, ma l’esperienza relativa a tragedie simili lascia ritenere che nella realtà l’uomo non accettasse l’interruzione del rapporto coniugale. Sul punto poi le indagini faranno definitiva chiarezza. Quello che appare certo è che le discussioni nella coppia nascessero dall’eccessiva gelosia di lui.
I familiari della donna, non ricevendo risposte al telefono da lei, sono entrati nell’appartamento facendo la macabra scoperta. Sono stati appunto tali familiari che hanno avuto il delicato compito di informare la ragazzina della tragedia che si era consumata, in quanto quest’ultima non era stata svegliata dalle urla che inevitabilmente ha generato l’evento delittuoso, consumatosi nella camera da letto dei coniugi.
L’ennesimo femminicidio porta inevitabilmente alla considerazione sul fatto che molti uomini non accettino la libertà della donna di prendere la decisione di chiudere un rapporto sentimentale. Tale incapacità da un lato può essere legata ad un’idea patriarcale del rapporto di coppia, dall’altro alla minor capacità di alcuni uomini rispetto alle donne di iniziare una nuova fase della vita differente rispetto a quella svolta precedentemente, spesso per anni.
Un cenno poi merita l’assenza da parte dello Stato di norme e di strutture organizzative che accompagnino una coppia nel difficile percorso della separazione, in considerazione del fatto che i tempi della giustizia non consentono di mettere al sicuro e proteggere i membri della coppia proprio in quella fase più delicata che è l’inizio del processo di separazione – processo inteso non in senso giuridico – che necessiterebbe di un supporto psicologico ma anche materiale, come garantire immediatamente un alloggio o una struttura di accoglienza onde evitare la convivenza proprio nel momento iniziale della crisi, nel quale uno dei coniugi subisce la decisione dell’altro ed il rancore diventa più difficilmente controllabile.
Tali strutture aiuterebbero ad evitare che si verifichino tragedie come quella che stiamo raccontando, perché sotto un profilo psicologico chi subisce l’intenzione separativa dell’altro non ha la capacità , nell’immediato, di organizzare un cambiamento di dimora, con tutte gli aspetti che questo comporta (trasloco, decisioni sui beni mobili da portare via ecc..). Invece la possibilità di alloggiare momentaneamente altrove consentirebbe in un secondo momento di organizzare, con animo più distaccato, tutte quelle attività propedeutiche ad un cambiamento di dimora.
Purtroppo spesso intervengono anche timori legati alle conseguenze giuridiche dell’allontanamento dalla casa familiare. Molte donne, pur in presenza di un compagno violento o che manifesta il rischio di diventare violento, evitano di lasciare anche solo provvisoriamente l’abitazione familiare per il timore di non poterci rientrare più a causa di provvedimenti giudiziari che lascino la casa familiare all’uomo. In realtà non correrebbero questo rischio.
Innanzitutto un allontanamento temporaneo non determina una responsabilità del coniuge o del membro della coppia. In secondo luogo se l’allontanamento non è immotivato nemmeno è ravvisabile una responsabilità del membro della coppia che lascia l’abitazione.
Dunque, con preesistenti comportamenti violenti o anche soltanto lesivi della dignità del coniuge/compagno, dimostrabili anche con prove testimoniali, alla donna che si allontana dalla dimora familiare non verrà negato il diritto a tornarci con conseguente obbligo dell’uomo a lasciare detta dimora, soprattutto se in presenza di figli minori o non autosufficienti economicamente.