Le critiche sempre più impietose e i deludenti risultati al box-office di The Marvels potrebbero averci fornito indicazioni da non ignorare sullo stato di salute di uno dei filoni più prolifici (se non IL più prolifico) dell’industria cinematografica dell’ultimo ventennio: quello dei cinecomic.
Quando Iron Man fece il suo esordio sul grande schermo, nel 2008, in pochi immaginavano ciò che sarebbe venuto dopo: di lì a qualche anno il Marvel Cinematic Universe (il franchise che riunisce in un’unica saga i film sugli eroi Marvel) avrebbe cambiato per sempre il volto del cinema, dando vita a una macchina da guerra senza precedenti capace di macinare miliardi di dollari a ogni nuova uscita per culminare, solo pochi anni fa, nel doppio evento Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame.
Da quel crocevia, però, il sistema sembra essersi inceppato: a far scattare l’allarme sono state per prime le critiche sempre più impietose (pochi sono stati i film del nuovo corso a convincere la critica, e mai ottenendo i plebisciti di un Captain America: The Winter Soldier o di un Civil War), ma il clamoroso tonfo al box-office al quale sta inesorabilmente andando incontro The Marvels, ultimo capitolo della saga che ha fatto il suo esordio in sala pochi giorni fa, sta finalmente spostando il discorso anche sul piano economico, quello, neanche a dirlo, sul quale inevitabilmente Disney e i Marvel Studios tendono a essere più sensibili.
La situazione si presta a molteplici riflessioni: in primis c’è l’inevitabile scotto pagato per l’addio di alcuni tra i personaggi più popolari (Iron Man e Captain America su tutti, ma anche la Black Widow di Scarlett Johansson), rimpiazzati da sostituti forse non ancora capaci di far breccia nel cuore dei fan, ma anche l’assenza di un vero e proprio picco qualitativo; se è vero, infatti, che non tutti i film delle prime fasi del franchise fossero capolavori (non lo era Captain America: Il Primo Vendicatore, non lo era Thor: The Dark World, men che meno lo erano film assolutamente dimenticabili come Captain Marvel o L’Incredibile Hulk), i passaggi più deludenti venivano sapientemente bilanciati da film talvolta gradevoli (Ant-Man, Doctor Strange, Black Panther), talvolta sopra la media (i già citati The Winter Soldier e Civil War, ma anche Guardiani della Galassia, Iron Man o Infinity War), contribuendo a un livello complessivo ben superiore alla sufficienza stentata sulla quale la saga si è assestata nel post-Avengers: Endgame.
Il riflettere sulla qualità dei film dell’MCU ci offre anche l’assist per un’ulteriore riflessione: siamo sicuri che il cinema non abbia bisogno di tornare a essere cinema, e non serie TV su grande schermo? Nel loro inseguire una storia più grande, i film Marvel hanno probabilmente dimenticato un concetto fondamentale: un film ha bisogno di essere godibile dal primo all’ultimo istante, e solo in secondo luogo dovrebbe offrirci elementi che lo ricolleghino a quelli venuti prima o a quelli che verranno dopo.
Se le prime frasi del franchise riuscivano a trovare un equilibrio in tal senso, l’impressione è che il senso della misura sia ormai andato a farsi benedire, con gli ultimi capitoli della saga che sembrano così impegnati ad affannarsi a far camminare una storyline comune da finire col dimenticare la propria, quella che dovrebbe nascere e morire nell’arco delle due ore circa del film stesso.
L’insorgere della superhero fatigue, termine con il quale si indica quella sorta di nausea che sembra aver colto il pubblico di fronte alla sovrabbondanza di cinecomic, va probabilmente ricollegato anche ai concetti appena espressi, aggravati infine dal disperdersi del franchise, che negli ultimi anni ha cominciato a integrare anche delle serie TV la cui visione è indispensabile per capire alcuni passaggi dei film. Certo, il fenomeno potrebbe aver semplicemente imboccato la strada del declino (il cinema, come ogni forma d’arte, vive di mode e periodi): chissà , però, che non si possa fare un tentativo di invertire il trend, ragionando su concetti come quantità e qualità .