Il Marrageddon Festival è stato un festival organizzato dal rapper Marracash il 23 settembre 2023 a Milano e il 30 settembre 2023 a Napoli, per celebrare la sua carriera e percorrere tutti i suoi successi discografici realizzati negli anni della sua carriera artistica.
Se Marracash, in particolar modo dopo il clamoroso successo dell’album Noi, Loro, Gli Altri, è riconosciuto all’unanimità o quasi come il più grande rapper italiano in attività (artisticamente e numericamente), va da sé che un festival come il Marrageddon (la due date che ha visto l’autore di Badabum Cha Cha esibirsi insieme ai più amati tra i suoi colleghi) avrebbe meritato un’organizzazione di primo livello. Purtroppo, però, siamo di fronte all’ennesima Caporetto del settore in termini di vivibilità e gestione dell’evento.
Andiamo con ordine: l’obiettivo di Marracash era di quelli ambiziosi e sulla sua riuscita, dal punto di vista artistico, ci sono ben pochi dubbi. Inutili i confronti con il Jova Beach Party: le aspirazioni qui sono decisamente più alte, siamo dalle parti (per tono, concetto e immagine) dell’Astroworld di Travis Scott, se è vero com’è vero che mai l’Italia aveva visto riunirsi in sole due serate il meglio dell’hip-hop tricolore (si parla di mainstream, chiaramente). A Milano Salmo, Fabri Fibra e Marracash in compagnia di Guè, a Napoli ancora Marra e il suo compare di Santeria forti di opening act del calibro di Madame, Ernia, Geolier e Lazza: chiedere di meglio senza scendere nell’underground, insomma, sarebbe stato davvero difficile.
La debacle avviene dunque sul fronte organizzativo ed è una storia che, per quanto riguarda gli eventi live italiani, è vecchia come il mondo: i problemi principali sono i soliti noti, dai PIT (quella che, per chi non è avvezzo alla terminologia da live, è o dovrebbe essere la zona del parterre a ridosso del palco) che coprono ormai metà dell’arena, costringendo spesso chi ha pagato di più a godersi comunque il concerto dai maxischermi, ad un prezzario per bibite e cibo a dir poco indecente, quest’ultimo peggiorato da una gestione dei chioschi svogliata e amatoriale (qualche testa in più ai banconi sarebbe servita eccome) e, soprattutto, da quella malsana abizatudine tutta italiana di costringere a convertire gli euro in token per effettuare qualsivoglia acquisto, anche quello della semplice bottiglina d’acqua. La conclusione è la solita: con un cambio minimo concesso di 10 euro i più si sono ritrovati a fine serata con dei token non spesi ed ovviamente non rimborsabili, finendo per fare dell’involontaria beneficenza agli organizzatori.
Discorso a parte merita la data di Napoli, città che non può certo contare su mezzi pubblici efficienti come quelli di Milano: l’Ippodromo di Agnano è stata una scelta quasi obbligata per posizione e capienza, ma non tener conto del fatto che per raggiungere a piedi la metropolitana più vicina fossero necessari almeno 45 minuti anche per i più veloci e che mezzi alternativi fossero praticamente assenti è stata una dimostrazione, a voler essere buoni, di enorme ingenuità .
Qui, chiaramente le colpe vanno suddivise con il Comune di Napoli, incapace di offrire un servizio adeguato a un evento di tale portata: cosa si sperava di ottenere prolungando all’1:00 l’orario di chiusura della tutt’altro che rapida Linea 2, visto il tempo necessario per raggiungerne le due fermate più vicine (Marracash, per la cronaca, ha salutato intorno alle 23:40)? Le testimonianze di chi si è visto respingere ai cancelli delle fermate di Campi Flegrei e Bagnoli si sprecano, come dimostrano i video presenti sui vari social (e d’altronde si trattava di criticità prevedibili, come già facevano notare i numerosi cittadini di Napoli e dintorni accorsi a commentare i post Instagram del festival contenenti le indicazioni per il ritorno).
L’Italia, insomma, si conferma un Paese nel quale la voglia di lucrare non arriva mai a collidere con quella di offrire un’esperienza quantomeno gradevole agli spettatori, trattati come quei clienti che, tanto, non avranno altra scelta se non quella di accontentarsi. Eppure non mancano, in Europa, le realtà che dimostrano come le due cose siano perfettamente conciliabili, anche senza scomodare quel totem che è il Primavera Sound: ad oggi, però, non possiamo far altro che continuare a guardare al di là dei nostri confini con un misto di rassegnazione, rabbia e poca, flebile, sparuta speranza.