Michelangelo Merisi, detto Il Caravaggio, trascorse da fuggiasco gran parte della sua breve esistenza: da Milano a Roma, a Napoli, a Malta, in Sicilia. Braccato, inseguito da una condanna a morte per omicidio o da sicari prezzolati decisi ad ammazzarlo.
Non siamo certi sul suo luogo di nascita. Per molti studiosi è nato, il 29 settembre 1571, a Milano, nella parrocchia di Santo Stefano in Brolo. Per altri il luogo di nascita è Caravaggio, piccolo comune della Bergamasca ad un tiro di schioppo da Treviglio; lo dimostrerebbe un documento che dice “Carraca oppido vulgo de Caravagio in longobardis natus”. Comunque sia, è certo che il pittore trascorre gli anni della fanciullezza e della prima adolescenza a Milano. E a tredici anni lavora nella bottega di Simone Pederzano, molto noto in città, allievo di Tiziano. Il suo primo biografo, e contemporaneo, Giulio Mancini, scrive che il Caravaggio “studiò in fanciullezza per 4 o 5 anni in Milano, con diligenza ancorchè, di quando in quando, facesse qualche stravaganza causata da quel calore e spirito così grande.”
Le stravaganze di Caravaggio, vogliamo chiamarle così? Forse faremmo meglio a definirle rabbie irrefrenabili, irascibilità, irrequietezze. O meglio ancora sregolatezze, che sono poi l’altra faccia del genio.
I biografi raccontano che lasciò Milano nel 1592, diretto a Roma, capitale dell’arte, tappa obbligata per pittori, scultori e architetti dell’epoca: era in realtà una fuga, forse per un omicidio che avrebbe commesso in quello stesso anno. Il primo periodo romano fu molto duro: pochissimo denaro, lavoro mal pagato. Poi l’apprendistato presso botteghe non certo famose, dove però il giovane pittore impara quella rapidità di esecuzione cui è dovuta la notevole produzione dei suoi capolavori in appena un ventennio. In seguito frequenta la bottega del cavalier D’Arpino, pittore molto noto a Roma e in Vaticano: qui impara a dipingere quel nuovo genere che verrà definito “Natura morta”. Poi apre una sua bottega, cominciano i primi veri guadagni, e nasce la sua leggenda nera.
Una vita sregolata, denunce per violenza, losche frequentazioni. Gira sempre con una grossa spada alla cintola, d’altronde quelli erano tempi in cui saper maneggiare la spada faceva la differenza tra la vita e la morte. Nel frattempo incontra il suo primo grande protettore, il cardinale Francesco Maria Del Monte (della nobile famiglia Colonna), che aveva fatto della sua residenza di Palazzo Madama un centro di arte e cultura. Ed è qui che nasce l’artista eccelso. Nascono i capolavori, con le luci e le ombre su uno sfondo oscuro, i volti sofferenti tratti dalla strada, il naturalismo che colpisce ogni sguardo. Sono gli anni dei capolavori ospitati nelle chiese romane di San Luigi dei Francesi e di Santa Maria del Popolo.
La sua è una pittura anticonformista: la gente, il popolino si riconosce, riconosce le proprie emozioni. Arriva il successo, ma la natura violenta del pittore ha il sopravvento. Picchia a Palazzo Madama un nobile ospite del cardinale: gli costerà un soggiorno nelle carceri romane di Tor di Nona ; il ferimento di un notaio per l’amore di una donna lo costringe ad una breve fuga a Genova e poi, al suo rientro a Roma, nel corso di una rissa scoppiata durante il Gioco della Pallacorda, uccide un uomo. Condannato a morte, il pittore è costretto ancora una volta alla fuga: prima a Palestrina, poi a Zagarolo e a Carpineto Romano, sempre ospite del potente principe Colonna. Da lì si rifugia a Napoli, dove trova ospitalità presso i nobili Carafa, imparentati con i Colonna. I suoi spostamenti seguono la logica delle protezioni: viene accolto da personaggi influenti che gli danno asilo per la sua fama artistica.
Ogni volta, lì dove va, lascia opere straordinarie, in molti casi visibili oggi dove vennero realizzate. Napoli, per Caravaggio, è una esperienza non solo artistica ma anche umana: a quel tempo era la città più popolosa d’Europa, cosmopolita, mediterranea, spagnola, con grandi ricchezze e tanta povertà. Nella città partenopea vive il suo periodo più prolifico: dipinge tra l’altro, per i Carafa la celebre “Madonna del Rosario” e per i De Franchis la “Flagellazione”, e poi il “Martirio di Sant’Orsola e “Le sette Opere della Misericordia”.
Nel 1607 lascia Napoli e si imbarca per Malta. Per Caravaggio l’isola dei Cavalieri rappresenta una grande opportunità di lavoro. Ottiene il Cavalierato per motivi artistici, ritrae il Gran Maestro Alof de Wignacourt, dipinge la “Decollazione del Battista”, “L’amorino dormiente” e il “San Gerolamo scrivente”. Con la nomina a Cavaliere spera di ottenere l’immunità e la grazia per il delitto romano.
Ma il destino, beffardo, sembra accanirsi. L’ennesima rissa con un Cavaliere di rango superiore gli apre ancora una volta le porte del carcere, quello di Sant’Angelo de La Valletta. Da lì ancora una fuga, rocambolesca: evade dal carcere e si rifugia in Sicilia. Segue un periodo di calma. A Siracusa si interessa di archeologia, dà il nome di Orecchio di Dionisio alla Grotta delle Latomie.
Dipinge una pala d’altare per Santa Lucia, nella chiesa dedicata alla patrona della città. Ma non si sente al sicuro nella città aretusea, teme per la vendetta maltese. Si rifugia prima a Messina poi a Palermo: dipinge in entrambe le città. Sul finire dell’estate del 1609 torna a Napoli dove subisce un’aggressione armata dai sicari del nobile maltese sulla soglia della Locanda del Cerriglio, in via Monteoliveto.
Rimane gravemente ferito. Addirittura corre voce che sia morto. Ma, grazie alle cure dei suoi nobili protettori, si riprende, benchè sfigurato in viso. Lascia Napoli quando gli giunge la notizia che papa Paolo V Borghese ha in animo di revocare la sua condanna a morte. Si imbarca per tornare a Roma, decide di arrivarci da nord, dalla Toscana. A Porto Ercole viene fermato e arrestato dalle guardie pontificie.
In attesa dei documenti papali, viene colpito da febbre malarica. Sfinito, solo, muore probabilmente per setticemia causata dall’infezione delle ferite subite a Napoli. E’ il 18 luglio 1610.
Il lido desolato e malarico della maremma toscana diventa la sua tomba.