Il 18 agosto 1883 nasceva a Saumur una bambina battezzata Gabrielle Bonheur, quel secondo nome, che significa “felicità” in francese sembra quasi farsi beffe di lei, segnando la sua vita con numerosi lutti e perdite. Nonostante ciò, quella bambina era destinata a diventare un’icona della moda e dell’emancipazione femminile, tutti noi la conosciamo come Coco Chanel.
Oggi, leggendo questo nome, pensiamo a un marchio di fama mondiale, che fattura miliardi e che vorremmo tanto poterci permettere, se non nell’armadio almeno sulla toletta del trucco ma, dietro quella doppia C c’è molto di più. C’è una bambina che cresce in un orfanotrofio, con le suore, dalle quali impara a cucire e che ispireranno il suo stile sobrio e l’amore verso il bianco e nero. C’è una ragazza che, grazie al suo primo amore Etienne Balsan, ricco ufficiale di cavalleria, inizia a farsi strada nel mondo dell’alta società. C’è una donna che, nel 1910, riceve in regalo dal suo amante Arthur “Boy” Capel, “Chanel Modes”, il suo primo negozio di cappelli a Parigi. Lo stesso amante la cui morte la segnerà per sempre.
Gabrielle, conosciuta come Coco, soprannome che si è guadagnata cantando nei caffé, lavorerà tutta la vita per decostruire l’abbigliamento femminile non solo per seguire i propri gusti ma, soprattutto, per liberare la donna da catene fatte di stoffe rigide e corsetti austeri. Sostituì i broccati e i velluti con il jersey, utilizzato fino ad allora solo per la biancheria intima, semplificò le linee, trasformò il nero da colore del lutto a colore del lusso, introdusse i tailleur, il tweed, i cardigan, le gonne a vita bassa e, soprattutto, il suo little black dress.
Liberò le mani delle donne, troppo importanti per limitarsi a stringere una borsa, con la sua 2.55, dotata di tracolla, donò alle donne una fragranza ancora oggi iconica: il n.5, primo profumo con note sintetiche, nato grazie all’incontro fortunato con il granduca Dmitrij Pavlovic che le presentò il profumiere Ernest Beaux. Ogni amore una gemma alla sua collana, anche se la segnarono in maniera dolorosa, come Paul Iribe morto improvvisamente nel 1935 o Hans Günther Von Dincklage, agente della Gestapo la cui relazione macchiò indelebilmente la reputazione di Coco, accusata di tradimento dopo la guerra. Ma cosa hanno prodotto questi dolori? La perdita della madre a 12 anni, l’abbandono del padre, la vita monastica, i lutti? Come il granello di sabbia che si infila nell’ostrica e intorno al quale il mollusco crea la perla, così Coco ha avvolto i suoi vuoti con metri di genialità.
Simbolo di emancipazione femminile, Coco è stata tanto ammirata quanto criticata per il suo spirito sovversivo. Da donna indipendente, in tempi non sospetti, fu la prima a comprendere che le donne non erano semplici bamboline da tenere su una mensola per essere ammirate, erano esseri dotati di anima e sogni, desiderose di vivere a pieno la propria vita, desiderio che passava anche per un corsetto stretto, per una gonna troppo lunga, per un cappello rigido, oggetti di moda creati per ingabbiare i loro corpi, corde strette intorno ai loro spiriti. Grazie a Coco la donna si trasformò da soprammobile statico a macchina volante, fu la voce di tutte quelle donne che desideravano libertà, indipendenza, forza. Ancora oggi la Maison Coco Chanel incarna tutti questi valori, simbolo di ricchezza e di lusso, non ha mai perso il suo spirito di eleganza e semplicità. Una semplicità non proprio economica né alla portata di tutte le donne ma la classe che Coco ci ha insegnato, quella sì che è per tutte perchè, come la stessa Chanel ripeteva spesso “la moda passa, lo stile resta”. Quindi indossate il vostro tubino nero, versate qualche goccia di profumo nell’incavo del collo e conquistate il mondo.