I tempi del web, quelli dei social media in particolare, imporrebbero un certo modello di scrittura scattante, immediato e soprattutto breve. Neanche la comunicazione enogastronomica è risparmiata alla tirannia dell’affrettata lettura moderna e forse, come tutte le cose, destinata ad essere dimenticata in maniera subitanea, senza lasciare alcuna traccia, anche con la complicità dell’eccesso di informazioni che affollano la realtà virtuale. Questa premessa non vorrà essere una scusa all’evidente lungaggine del pezzo, ma un rafforzativo alle ragioni per le quali un articolo descrittivo dell’assaggio di un vino, nel suo incipit, parli di tutt’altro, ossia del territorio.
Il vino è il bene agricolo più fortunato di altri ed è in dovere di farsi veicolo funzionale a narrare i luoghi da cui ha origine. La lettura approfondita di ciò che meglio caratterizza il territorio, nella sua storicità, nella sua geografia e nei suoi luoghi di interesse, è essa stessa l’invito al viaggio, la promessa di una esperienza straordinaria e la scoperta di un buon calice di vino.
E d’altronde il buon vino non è fatto per chi ha fretta, col vino bisogna dialogarci…
Il primo centro abitato di Perdifumo sorse attorno all’XI secolo grazie al congiungimento degli abitanti del vicino villaggio di Sant’Arcangelo con i perdifumesi: infatti, su questo borgo cilentano le prime notizie si hanno attorno al 1083, quando gli abitanti, inizialmente riuniti attorno al monastero di Sant’Arcangelo, progredirono e pensarono di trasferirsi nell’abitato coincidente all’attuale Perdifumo, perché i terreni limitrofi erano più idonei all’agricoltura, anche perché ubicati nelle vicinanze di un torrente; proprio grazie a questa condizione favorevole all’irrigazione dei campi, il nuovo nucleo abitativo veniva riconosciuto nel Medioevo con il nome “Pes de Flumine”, quindi ai piedi del fiume, da cui ha origine l’odierno toponimo.
Nel 1073 Sant’Arcangelo venne assegnato alla Badia di Cava de’ Tirreni con tutti i suoi possedimenti e nel 1077, anno in cui i Normanni conquistarono il Principato di Salerno, il centro di Perdifumo era di fatto già costituito, in quanto grazie ad una verifica effettuata nei sei anni successivi, volta ad accertare il numero dei vassalli dipendenti dai singoli monasteri cilentani, risultarono nelle pertinenze di Sant’Arcangelo una cinquantina di nuclei familiari che senz’altro dovevano risiedere in quel tempo nel neocostituito centro abitato e, come tutti i possedimenti di Sant’Arcangelo, fu assegnato alla famiglia Sanseverino. Distrutta durante la guerra del Vespro, avvenuta da 1282 al 1302, Perdifumo fu ricostruita dopo qualche tempo, restando tuttavia di proprietà della stessa Badia fino al 1412, quando tutti i suoi feudi, per volontà del papa Gregorio XII, passarono in mano al re Ladislao di Durazzo; nel 1436 Perdifumo fu concesso da Alfonso d’Aragona ai Sanseverino in assoluto dominio, lasciando alla Badia metelliana la sola giurisdizione spirituale.
A seguito della Congiura dei Baroni, tra il 1485 ed il 1487, i Sanseverino vennero privati di tutti i loro feudi e videro assegnarsi Perdifumo, da parte del re Federico d’Aragona, al cavaliere Giacomo Guindacio, nobile napoletano che in seguito ne conservò il dominio come suffeudatario dei Sanseverino, quando questi recuperarono nuovamente i loro feudi nel 1507, come testimonia la monumentale fontana cinquecentesca del paese, attraverso le due epigrafi che ricordano i due distinti periodi del dominio. Fu Porzia Guindacio, figlia del cavaliere, a portare in dote il feudo ai Caracciolo nel 1520, per passare a Violante Brancaccio nel 1561 e quindi a Paolo del Baglivo nel 1568. Insomma, cambi di proprietà che proiettarono appieno Perdifumo nelle vicende storiche di tutte le epoche dalla sua nascita, fino ai Principi di Roccadaspide, che ne detennero il dominio fino all’abolizione della feudalità nel 1806 da parte dei francesi; dal 1811 al 1860 il borgo cilentano ha fatto parte del circondario di Castellabate, a sua volta appartenente al Distretto di Vallo del Regno delle Due Sicilie e, infine, dal 1860 al 1927, durante il Regno d’Italia, ha fatto parte del mandamento di Castellabate, appartenente al Circondario di Vallo della Lucania.
Posto a Nord Ovest del Monte Stella, oggi Perdifumo conta poco più che 1800 abitanti, rientra nel Parco Nazionale del Cilento, del Vallo di Diano e degli Alburni e conta numerose attrattive di interesse storico e architettonico, tra cui l’Ex Seminario della Badia Benedettina di Cava dei Tirreni del XVII secolo, il Palazzo Giardulli del XVIII secolo con annesso frantoio ottocentesco, il Palazzo Baronale Gagliardi e la sua caratteristica colombaia, la Cappella della Confraternita del Santo Rosario, risalente al XVI secolo, e la Chiesa Collegiata Parrocchiale di San Sisto II Papa e Martire del XVI secolo.
Queste le frazioni di Perdifumo: Camella, famosa per essere la più antica contea longobarda dell’antico Cilento; qui ogni anno, in occasione della festa patronale in onore di San Nazario, si svolge il caratteristico volo dell’angelo: un volontario, solitamente un bambino, appeso ad un cavo d’acciaio teso tra due balconi, simula la venuta di un angelo a Camella, giunto per raccomandare a San Nazario la protezione del piccolo borgo cilentano; qui, appena giunti alle porte di Camella, si può ammirare l’antica fontana pubblica con lo stemma della famiglia Altomare, risalente al 1536.
Mercato Cilento è la frazione situata presso un importante nodo viario, vicino al convento e omonima chiesa di Santa Maria del Carmine del 1472; infine Vatolla, la più estesa tra tutte le frazioni, famosa per aver ospitato il filosofo napoletano Giambattista Vico tra il 1689 ed il 1695 presso Palazzo De Vargas Machucha del X secolo, oggi sede del Museo Vichiano e della Fondazione Giambattista Vico. È qui che viene coltivata la Cipolla di Vatolla, un ecotipo dal colore bianco rosaceo, dolce e delicato, emblema della biodiversità agricola cilentana, nonché presidio Slow Food.
Qui, in uno degli scorci più suggestivi del Cilento, ove regna la Macchia Mediterranea ed una fauna piuttosto varia, è stata fondata la Tenuta Massanova: un’estensione totale di quasi 20 ettari, tra vigneti di Aglianico, Fiano e Primitivo, olivi e alberi di fico, con vista mare da cui è possibile scorgere Punta Campanella e persino l’isola di Capri. La filosofia di Davide Massanova, nella conduzione di questa azienda giovane e dinamica, è molto semplice: utilizzo di pratiche agronomiche che rispettano interamente il territorio e la natura circostante, puntare a creare materia prima eccellente, nella quale il consumatore potrà porre piena fiducia, seguendo il ciclo naturale delle piante, per garantirne il più alto valore di qualità, unicità e sostenibilità.
Nel pieno rispetto della mission di Tenuta Massanova, il modello enologico persegue gli stessi obiettivi a partire dalla sanità delle uve e dalla loro trasformazione in vino etico.
I vigneti di Fiano per ottenere lo Ziopì si trovano ad un’altitudine dal livello del mare di 120 metri, le viti sono allevate a Guyot su terreni argillosi, con sabbie di natura quarzosa e marna, limo e ghiaie di diversa granulometria. La vendemmia ha avuto luogo verso la fine di agosto, la fermentazione è avvenuta a temperatura controllata in inox con affinamento su fecce fini, sempre in acciaio, poi in bottiglia per almeno quattro mesi prima che uscisse in commercio.
Lo Ziopì Fiano del Cilento Doc 2019 di Tenuta Massanova è di un giallo paglierino carico tendente al dorato e si presenta piuttosto consistenza, stando a quanto visivamente si denota dell’effetto Marangoni. All’esame olfattivo questo vino, di cui assaggiamo la prima annata in assoluto, presenta le seguenti note: fiori di acacia e ginestra, mela golden, pesca bianca e kiwi giallo, seguiti da limone pane, crosta di pane e nocciola tonda di Giffoni tostata e lievissima percezione mielata. In bocca è caldo, avvolgente, sapido e succoso, grazie alle sue note gliceriche, la verticalità ed i rintocchi di agrume che, oltre al limone, svelano una nota decisa di pompelmo giallo. Ritornano altresì le note tostate ed il miele, poi un leggero tocco ammandorlato, per un finale slanciato e persistente. Un vero peccato non avere in cantina un’altra bottiglia per darsi appuntamento tra un paio di anni, ma il rimpianto è subito scordato grazie ad un piacevole abbinamento con un sontuoso risotto ai frutti di mare.