La Ginestra, ultima opera leopardiana, occupa il trentaquattresimo posto nell’edizione definitiva dei Canti del 1845; scritta nella primavera del 1836 a Torre del Greco nella villa Ferrigni che ospitò Leopardi negli ultimi mesi di vita (per sfuggire all’epidemia di colera che stava devastando Napoli) e pubblicata postuma.
È un componimento in sette strofe di varia lunghezza e 317 versi, endecasillabi e settenari.
Leopardi vede nella ginestra un simbolo di coraggio e della resistenza estrema di fronte a un destino inevitabile: a differenza dell’uomo, il fiore accetta con umiltà il suo tragico destino, senza viltà o folle superbia, e sopporta con dignità il male che gli “fu dato in sorte”.
Il tema principale della canzone è il coraggio, l’orgoglio, la resistenza che la ginestra, immagine della condizione umana, oppone alla lava del Vesuvio, denominato monte sterminatore, poiché rade al suolo tutto ciò che incontra.
L’ambientazione geografica è quella delle aree prossime al monte Vesuvio, sulla cui schiena arida, dove nulla cresce, spunta la ginestra, fiore che riesce a cibarsi dello scarsissimo nutrimento presente in terreni quasi desertici (come quello lavico del Vesuvio).
C’è ancora nella Ginestra del 1836 una concezione pessimistica (il pessimismo cosmico):
Il poeta ribadisce che la Natura non ha per gli uomini riguardo maggiore di quello che ha per le formiche, eppure “l’uom d’eternità si arroga il vanto”.
Leopardi, quindi, sviluppa una visione meccanicistica e materialistica della natura, una natura che egli con disprezzo definisce “matrigna” ma la Ginestra diventa il simbolo per la lotta contro le avversità della natura, perché fiorire si può e si deve anche in mezzo al deserto, ci ricorda il poeta, se le cose fragili come un fiore di ginestra lo sanno fare, anche noi siamo chiamati a fare altrettanto.
Nell’ ultima strofa, la settima, la “lenta ginestra” si piega ma non si spezza, si adatta alle forze. La ginestra è innocente, non si ribella, ma non è codarda né superba.
La “social catena” presente nella poesia, vuole essere un invito a prendere atto dell’infelicità degli uomini, così da stabilire un rapporto di solidarietà fra i componenti del genere umano, contro il vero nemico, che è la natura.
La Ginestra, fiore eroico e resiliente, non ha la pretesa di essere immortale, sa che probabilmente prima o poi dovrà arrendersi alla lava del Vesuvio, conosce il suo limite, ma resta comunque lì, a creare bellezza in mezzo al deserto, a fare qualcosa di bello anche se nessuno dovesse venirlo a sapere, come un uomo che compie le buone azioni, con impegno e dedizione, anche se queste dovessero rimanere ignote al mondo.
La Ginestra accetta la vita così com’è, con tutte le sue difficoltà e i suoi ostacoli, è conscia dei suoi limiti, ma nonostante questo non rinuncia, non si tira indietro, non si piega, resiste, svolge il suo compito, fa del suo meglio, con i suoi colori, con i suoi profumi, per rendere più bello quel piccolo pezzettino di mondo che le compete.
Questo è il messaggio più dolce e bello che ci ha lasciato il nostro giovane favoloso. L’attualità di questa lirica è commovente, di estrema bellezza e di grande insegnamento.