Tra circa una settimana dovrebbe essere presentato il Piano strutturale di bilancio di medio termine (Psb), ossia il nuovo documento programmatico previsto dalle nuove regole fiscali europee. Il Piano dovrà essere presentato alle Camere per poi essere inviato alla Commissione europea entro il 20 settembre. In base a questo Piano, in ottobre, dovrà essere approvato il Documento Programmatico di Bilancio (Dpb) sulla cui base verrà definita la Legge di Bilancio.
Le nuove regole impongono innanzitutto una riduzione dello 0,5% l’anno del deficit pubblico fino a quando questo non tornerà sotto il 3%, facendo uscire l’Italia dallo stato d’infrazione per deficit eccessivo.
Raggiunto questo obiettivo, fra tre anni, si tornerà all’applicazione della clausola quantitativa oggi sospesa: la riduzione del rapporto deficit / pil dell’1% l’anno. Infine, bisognerà arrivare ad un rapporto deficit / pil dell 1,5% l’anno. Il percorso non è semplice e ci vorrà del tempo, almeno 7 anni!
A Cernobbio il nostro Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato, in vista dell’imminente apertura della sessione di bilancio: “ci sono a disposizione poche risorse e vanno impiegate bene, puntando sulle priorità che danno il moltiplicatore maggiore.”
Gli ultimi dati relativi alla produzione industriale in Italia segnano un quadro molto in rallentamento: un aumento, in termini congiunturali, dello 0,1% in valore, ma una diminuzione dello 0,7% in volume. L’aumento in valore è tutto frutto dell’inflazione. Anche il settore dei servizi è calato, sia in valore che in volume. Tra le questioni più urgenti d’affrontare c’è che da qua al 2030 la popolazione italiana in età da lavoro diminuirà di oltre un milione di persone.
Già oggi in 11 regioni ci sono più pensioni erogate che occupati, e non credo serva essere fini economisti per rendersi conto che questa situazione è insostenibile oggi, e diventerà sempre più insostenibile in futuro. Tagliare le spese, ridurre i costi: si partirà dal decidere quale dei numerosissimi bonus introdotti negli ultimi anni saranno prorogati, e quali cancellati, e poi si proverà a capire dove trovare tutti gli altri finanziamenti per realizzare le recenti promesse: taglio del cuneo fiscale, riforma dell’Irpef, ecc. Stiamo parlando di una cifra che si aggira attorno ai 20/25 miliardi di Euro.
Sarà necessario trovare un difficilissimo bilanciamento fra incentivi alla crescita (che sta stagnando) e riduzione delle spese per racimolare fondi. Per Eurostat nel 2023 il reddito reale delle famiglie, falcidiato dall’inflazione, è diminuito ancora. L’Italia mantiene le posizioni di coda a livello continentale, subito prima della Grecia e si ferma ancora sei punti sotto i livelli 2008.
Del Piano strutturale di bilancio nessuno sa nulla. Nessuna forma di consultazione preventiva è stata prevista con l’opposizione, le parti sociali, le autonomie territoriali. Tutto fa pensare che il ministro Giorgetti punti a fare ratificare il Psb dal Parlamento in pochi giorni e a scatola chiusa. È un approccio del tutto inadeguato, che rischia di far perdere al Paese un’occasione preziosa. Ultimi tra i big del G7 e sedicesimi tra i Paesi l’Ocse, questa la posizione dell’Italia per quanto riguarda la spesa sanitaria pubblica in % al Pil.
L’anno scorso l’Italia ha finanziato la Sanità con il 6,2% di spesa sul Pil contro il 6,8% della media Ue e il 6,9% dei Paesi Ocse. E comunque ben lontana da Francia e Germania che finanziano la spesa sanitaria pubblica con circa il 10% del Pil. Ecco perché la Sanità torna a scaldare la politica e non solo in vista della manovra di bilancio che nei prossimi giorni comincerà ad entrare nel vivo.
l cantiere della legge di bilancio dovrà tenere conto anche delle agevolazioni per le imprese che rischiano di restare senza risorse a fine anno. E contratti di sviluppo, Nuova Sabatini e Accordi per l’innovazione sono in cima alle richieste di rifinanziamento all’esame del ministero dell’Economia, per dare continuità agli incentivi che presentano storicamente un maggiore grado di assorbimento, soprattutto nel settore industriale.
Certo i tempi sono stretti, poiché le risorse finanziate dal PNRR vanno assolutamente impiegate entro il 2025 per essere rendicontate per giugno 2026 ed eventuali proroghe potranno esserci solo se concordate con l’U.E.
Il Recovery Plan viaggia a ritmi decisamente più lenti del previsto. Il problema riguarda tutta Europa, ma in veste da vicino l’Italia per due ragioni: le dimensioni del nostro Pnrr, il più grande d’Europa e la sua scansione temporale che concentra una quota sempre più imponente di interventi nell’anno di chiusura del programma, il 2026.
Sul punto sono molto eloquenti proprio i numeri dell’Italia che finora ha ricevuto da Bruxelles 102,5 miliardi fra anticipa zione iniziale e prime cinque rate, ne attende altri 8,5 dalla sesta già chiesta prima dell’estate, ma ha speso ufficialmente solo 52,2 miliardi, cioè il 51% dei fondi già incassati.
Il cantiere della legge di Bilancio 2025 è appena stato aperto e il futuro delle misure di sostegno per le famiglie già scalda già il dibattito politico. Dopo la smentita sui possibili tagli all’assegno unico universale, il Governo cerca una quadra per rinnovare le misure in scadenza a fine anno e approvare alcuni correttivi.
La coperta è corta e il tentativo (fallito) di modifica dell’Isee intrapreso con la scorsa legge di Bilancio per escludere i titoli di Stato, dimostra quanto sia difficile intervenire su strumenti così diffusi.
L’obiettivo del Governo, con la prossima manovra di bilancio, è una crescita per l’anno prossimo che dovrebbe attestarsi attorno al 1,2%. Però le incognite internazionali sono tante, a partire dalla frenata costante della Germania primo partner commerciale del nostro Paese. Inoltre, la spesa pubblica è aumentata del 40% negli ultimi cinque anni e con essa il nostro debito pubblico.
È proprio sul debito pubblico che si concentrano le maggiori risorse, tra i titoli di Stato in scadenza da ripagare (sostituiti da nuove emissioni) e gli interessi. Poi viene la previdenza. A perdere terreno, in termini di minori risorse assegnate, è la scuola (-10% in 5 anni) e l’ordine pubblico e sicurezza (-6%).
Peccato, perché senza investimenti nella sanità e nella scuola il Paese non cresce!