Visionario e anticonvenzionale, lo scrittore nipponico Haruki Murakami può piacere oppure no.
Alcuni lettori lo apprezzano e lo amano per le sue narrazioni insolite, oniriche, originali e a tratti surreali, altri, invece, per le stesse motivazioni, trovano le sue opere di non immediata comprensione.
Un soprannaturale magico il suo, in bilico tra il reale e l’irreale, una vertigine dell’assurdo.
In una dichiarazione rilasciata nel 1997 alla rivista The Salon Magazine, lo stesso autore ammette di «amare la cultura pop: i Rolling Stones, i Doors, David Lynch, questo genere di cose. Non mi piace ciò che è elitario. Amo i film del terrore, Stephen King, Raymond Chandler, e i polizieschi. Ma non è questo ciò che voglio scrivere. Quello che voglio fare è usarne le strutture, non il contenuto. Mi piace mettere i miei contenuti in queste strutture. Questa è la mia via, il mio stile. Perciò […] Scrivo storie strane, bizzarre. Non so perché mi piaccia tanto tutto ciò che è strano. In realtà , sono un uomo molto razionale. Non credo alla New Age, né alla reincarnazione, ai sogni, ai tarocchi, all’oroscopo. […] Ma quando scrivo, scrivo cose bizzarre. […] Più sono serio, più divento balzano e contorto».
Tra i vari titoli che posso consigliare per scoprire o per approfondirne la sua produzione letteraria, scelgo il folgorante noir Dance Dance Dance, scritto nel 1988, tradotto e pubblicato in Italia nel 1998.
La vicenda è ambientata negli anni Ottanta e il punto di partenza è un vecchio albergo, il Dolphin Hotel, in un giorno di marzo. Il protagonista, l’io narrante, non ha nome, è un giornalista freelance che decide di ritornare a Sapporo per capire perché nella sua vita ha perso molte cose, soprattutto perché ogni volta, nelle relazioni interpersonali, perde qualcosa di sé. S’improvvisa detective muovendosi tra veri e presunti cadaveri attraverso una Tokyo iperrealistica e notturna, ritrovandosi poi catapultato in un vecchio salotto di Honolulu, dove ci sono sei scheletri che guardano la tivù.
In questo suo viaggio controcorrente incrocia personaggi vari, tra cui spiccano la piccola Yuki (appassionata di rock e con poteri da sensitiva), Gotanda (vecchio compagno di scuola, attore di successo), Yumiyoshi (riservata receptionist con gli occhiali), Kiki (la prostituta scomparsa nel nulla) e l’uomo Pecora (misterioso custode della vita segreta del protagonista).
Da ogni singolo incontro si susseguono eventi che si pongono al limite del concreto, che vanno dall’alienazione alla coscienza del sé, rappresentativi di uno scontro fra il tangibile e l’invisibile; per analizzarli non esistono confini da delimitare o esaminare secondo il criterio della logica, occorre solo lasciarsi andare e danzare… danzare verso la consapevolezza di sé stessi, passando attraverso il peso e la sofferenza della solitudine, o l’incapacità di rimanere fedeli ai propri principi.
È un romanzo che regala riflessioni contrastanti, come la citazione sottolineata a pag. 35, Anche quando apriamo un libro, siamo sempre in cerca di compensazioni.
È il finale che mi sorprende, semplice e diretto. Qual è la spinta ad abbandonare definitivamente un’interiorità fatta di spettri, il mal de vivre? Cosa può indurre l’uomo a vivere un nuovo giorno con la consapevolezza di sentirsi finalmente vivo?
Se la curiosità ha prevalso, che la danza delle parole abbia inizio, un passo dopo l’altro, continuate a leggere, senza fermarvi mai!