Nell’estate del 2024, il piccolo comune di Pietraroja, incastonato tra i boschi del Matese in provincia di Benevento, si prepara a vivere un’esperienza artistica unica nel suo genere, grazie al progetto “Ccà sotto ‘nun ce chiove” ideato dall’artista Irene Macalli. Un’iniziativa che punta a riscoprire e valorizzare il territorio attraverso l’arte partecipativa e il coinvolgimento attivo della comunità locale.
Il progetto “Ccà sotto ‘nun ce chiove” si colloca nel contesto del crescente fenomeno dello spopolamento che affligge molti piccoli comuni italiani, privandoli lentamente delle loro tradizioni, culture e saperi antichi. Irene Macalli, laureanda all’Accademia di Belle Arti di Napoli, ha scelto Pietraroja come luogo simbolo per un intervento artistico che mira a risvegliare l’identità culturale del borgo, trasformandolo in un palcoscenico dove l’arte contemporanea si intreccia con la storia e le tradizioni locali.
L’iniziativa è patrocinata e sostenuta dall’Accademia di Belle Arti di Napoli, dal Comune di Pietraroja, dalla Pro Loco, da Scuola Scultura e dalla Fonderia Nolana Del Giudice.
Un’interazione profonda con il territorio
La premessa progettuale di Macalli è chiara: non si tratta di spettacolarizzare il paese come un semplice oggetto di compassione, ma di renderlo protagonista di un evento artistico che interviene sulle “ferite” causate dallo spopolamento. L’obiettivo è coinvolgere direttamente la comunità, soprattutto la “generazione silenziosa” degli anziani, che conserva ancora viva la memoria storica del luogo. Attraverso un processo di residenza artistica di tre settimane, l’artista vivrà e lavorerà a stretto contatto con gli abitanti, apprendendo e scambiando saperi, tradizioni e pratiche quotidiane.
La scelta di Pietraroja non è casuale. Questo piccolo borgo dell’entroterra sannita, con le sue radici profonde nel passato e la sua storia antica, offre un contesto ideale per esplorare la relazione tra l’arte e il mondo rurale in via di scomparsa. Irene Macalli si immergerà nella vita quotidiana dei contadini locali, offrendo il proprio aiuto nelle attività domestiche e agricole, in un gesto di reciprocità che vuole celebrare e preservare un modo di vivere che rischia di scomparire.
Il laboratorio d’arte e la creazione collettiva
Dal 19 al 24 agosto 2024, Irene Macalli condurrà un laboratorio d’arte partecipativo aperto a tutti, in particolare alle donne del paese. Durante il workshop, i partecipanti collaboreranno alla realizzazione di una grande bandiera bianca, cucita a mano, che simboleggerà la rinascita e la resilienza del paese. Le cuciture, eseguite collettivamente, daranno vita a un disegno unico che rappresenterà l’unione della comunità. Questa bandiera verrà poi installata su un’asta alta sei metri presso Costa Sant’Anna, un luogo carico di storia dove sorgono le antiche mura del paese, e rimarrà esposta fino a novembre 2024. Il gesto simbolico dell’innalzamento della bandiera, previsto per l’8 settembre 2024, sarà il culmine di un processo di trasformazione collettiva, un momento in cui la comunità si riappropria del proprio spazio e della propria storia.
Un progetto di ampio respiro
Il progetto “Ccà sotto ‘nun ce chiove” non si limita all’esperienza di Pietraroja, ma rappresenta il primo tassello di un’iniziativa più ampia che l’artista intende estendere ad altri territori, anche all’estero. La documentazione dell’intero processo, attraverso video, fotografie e scritti, sarà raccolta in un lavoro d’archivio che verrà presentato in una mostra presso la Galleria d’Arte Contemporanea Capnapoliest di Napoli nel marzo 2025, e successivamente pubblicato in forma di quaderno. La tesi finale, che verrà presentata nell’ottobre 2024 all’Accademia di Belle Arti di Napoli, approfondirà ulteriormente le dinamiche di questo progetto artistico e la sua rilevanza nel contesto del riscatto sociale delle aree interne.
L’intervista
Abbiamo avuto modo di intervistare l’artista e ideatrice del Progetto, Irene Macalli e le abbiamo chiesto:
Come è nata l’idea del progetto? Ci puoi raccontare il processo creativo che ti ha portato a scegliere Pietraroja e a sviluppare un’opera d’arte partecipativa così strettamente legata al contesto rurale e sociale di questo piccolo borgo?
Il progetto trae origine dai miei studi di approfondimento e dalle esperienze maturate. Ho frequentato la Scuola di Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove ho avuto l’opportunità di immergermi nel mondo dell’arte contemporanea a 360 gradi, dallo sviluppo di una poetica personale all’acquisizione delle tecniche fondamentali per la realizzazione delle mie opere. Ho avuto la fortuna di essere seguita da docenti di grande calibro, sia nel campo della storia dell’arte contemporanea che nei corsi di laboratorio.
Le esperienze con artisti di rilievo come Marisa Albanese, Gian Maria Tosatti, Yoshiko Shimata e Marinella Senatore, esponente dell’arte partecipativa, hanno ulteriormente alimentato il mio
interesse nel relazionarmi con i luoghi. Ho avuto anche l’opportunità di studiare presso la Mimar Sinan University di Istanbul, la più importante istituzione di alta formazione artistica in Turchia, dove ho stretto legami significativi con persone provenienti da tutto il mondo, in particolare dal Medio Oriente.
L’idea del progetto nasce, dunque, non solo dal mio bagaglio di esperienze artistiche, ma anche da un vissuto personale profondamente legato alle mie radici contadine nell’entroterra sannita. Da almeno tre anni, la mia ricerca artistica è focalizzata sulle aree interne, con l’obiettivo di analizzare le numerose complessità del mondo rurale, un mondo vissuto principalmente dalla generazione silenziosa, quella dei nonni, che sta scomparendo giorno dopo giorno.
Il progetto si sviluppa dopo una lunga ricerca artistica incentrata sullo spopolamento che affligge le aree interne della penisola italiana. Il mio lavoro, in quanto artista, intende riflettere sulla determinazione con cui stiamo perdendo il contatto con la terra, concentrandosi in particolare sui piccoli comuni, colpiti dallo spopolamento e che hanno sempre vissuto grazie alla lavorazione della tale dare spazio alla generazione silenziosa, coinvolgendo gli anziani e
stimolando la loro creatività.
Ho scelto Pietraroja dopo numerosi sopralluoghi in diversi comuni del Beneventano. Questo piccolo paese mi ha colpito sin dal primo momento. Prima di giungere qui, ho studiato a fondo la storia, l’economia e l’evoluzione demografica dei paesi della provincia di Benevento. Dopo aver completato lo studio, ho visitato i luoghi, arrivando infine a Pietraroja, una località montana nascosta tra i boschi del Monte Matese, al confine con il Molise.
Ammetto di essermi lasciata alle spalle l’oggettività e la razionalità per cui con Pietraroja ho avuto un colpo d’amore.
Il territorio è vasto e da sempre legato alla lavorazione della terra e alla natura. Ma ecco, le nuove generazioni vogliono diventare altro com’è giusto che sia, per cui, mi raccontano che troppe cose stanno scomparendo come la pastorizia, gli allevamenti, la produzione del formaggio. La Transumanza è già morta. Salvo i pochi ragazzi che invece, ancora appassionati, portano avanti aziende agricole nei migliori dei modi.
Credo fermamente che i piccoli paesi debbano essere raccontati. Senza dubbio, stanno morendo, la maggior parte delle persone che vivono i piccoli comuni sono anziani e il ciclo della vita li porta a scomparire portando con se saggezza e saperi. Le radici italiane affondano in questi luoghi, nella cultura contadina e popolare. L’Italia nasce da qui.
Dunque mi sono trasferita Pietraroja, per studiarla, per portare avanti la mia ricerca e infine per raccontarla e la realizzazione di un’opera collettiva è anche un pretesto per conoscere meglio la comunità. Il progetto partecipativo prevedere infatti anche una settimana di laboratorio artistico nel quale si cercherà di ricreare un momento famoso del passato, un ritorno alla cultura popolare. Ci uniremo insieme per cucire a mano una bandiera, la Bandiera di Pietraroja, questa è l’opera d’arte, un’opera che nasce dalle mani dei partecipanti.La tua iniziativa esplora temi come lo spopolamento e la perdita delle tradizioni rurali. In che modo credi che l’arte contemporanea possa contribuire non solo a preservare queste memorie, ma anche a stimolare un nuovo senso di appartenenza e identità tra le giovani generazioni nei piccoli comuni come Pietraroja?
Il potere dell’arte nelle aree interne è dimostrato da numerosi artisti contemporanei che realizzano autentici capolavori in luoghi intrisi di storia. Un’operazione artistica può essere capace di cristallizzare storie intime, saperi, tradizioni e credenze di un’intera comunità sull’orlo dell’oblio, consentendo soprattutto alla generazione silenziosa di esprimersi e rendere eterno il proprio patrimonio di conoscenze.
Dopo una settimana di permanenza qui mi piace pensare al mio progetto come un mezzo di unione tra le persone. Noto che la loro curiosità nei miei confronti li unisce anche al dialogo. Sto trascorrendo le giornate con persone bellissime, mi accolgono nelle loro case come se fossi una figlia e sono contenti di raccontarsi.
Mi mostrano le loro fattorie, i greggi, i piatti che cucinano, i loro libri, i giardini, gli orti e il loro
lavoro. Mi accompagnano in lunghe passeggiate tra le montagne, a piedi o in auto. E non parlo solo degli anziani o semplicemente dei grandi, anche i giovani sono molto aperti al confronto, curiosi, e ciò mi rassicura. Ho conosciuto Gianni, un giovane che crede fermamente nel suo progetto, il “Villaggio di Ciro”[casa vacanza], e riesce a muovere le cose nel paese.
Ho incontrato Antonio, un ragazzo profondamente legato al suo territorio. La passione per il suo lavoro lo porta a gestire la sua azienda agricola, “Uardiànu Sheepfarming”, in modo innovativo. Ha il coraggio e la determinazione di portare avanti le sue radici. Definirlo in gamba è riduttivo.
Ho conosciuto molte altre persone, e dedicherò a ciascuna di loro delle pagine, raccontando le loro storie.
Penso che progetti come questi, l’arte relazionale, possa in qualche modo unire le persone, portarle al confronto. Portarle a credici anche per un po’, suscitando in loro una nuova fiducia
Forse l’arte nasconde in se un segreto, l’arte crea delle situazioni insolite nel quale la gente ci
inciampa, e questa rottura dalla routine quotidiana può far cambiare qualcosa nell’animo di chi ci capita dentro..
Nel libro Arte relazionale di Nicolas Bourriaud si parla dell’incontro, e l’incontro è alla base del mio lavoro. Collaborando con le persone di Pietraroja, mi rendo conto di quanto desiderino raccontarsi.
E Questo desiderio si sta concretizzando attraverso un progetto partecipativo, accolto positivamente dal Comune di Pietraroja, dal sindaco e dall’intera amministrazione.
Dal 19 agosto, cercheremo di tornare alla cultura popolare, unendoci per cucire insieme una
bandiera e dando vita a un’opera collettiva che verrà installata a Costa Sant’Anna, con inaugurazione prevista per l’8 settembre
L’arte come riscatto sociale
Irene Macalli vuole dimostrare quanto l’arte possa essere un potente strumento di riscatto sociale, capace di congelare storie intime, tradizioni e credenze di comunità altrimenti destinate all’oblio. In un contesto storico in cui la globalizzazione e l’urbanizzazione minacciano di cancellare le identità locali, il progetto “Ccà sotto ‘nun ce chiove” si propone come un modello di intervento artistico che non solo valorizza il territorio, ma lo rivitalizza, restituendo ai suoi abitanti il senso di appartenenza e la consapevolezza del proprio patrimonio culturale.
Con questo progetto, Pietraroja non sarà più solo un piccolo borgo nascosto tra le montagne, ma diventerà un simbolo di resistenza culturale e di rinascita attraverso l’arte, dimostrando che, anche sotto le nuvole più scure, c’è sempre la possibilità di ritrovare la luce.